“Il tesoro del brutto anatroccolo”

Era così bello, là, nella campagna. Era estate…. Inizia così una delle fiabe più belle e più conosciute: Il brutto anatroccolo. Che è anche la fiaba della vita di Andersen, il suo autore. Hans Christian Andersen nacque 200 anni fa a Odense, nell’isola di Fionia, in Danimarca. Odense, nel 1805, non era la città che è adesso: fra le viuzze di quel piccolo borgo si respirava ancora un’aria antica, si raccontava di spiriti e folletti e sopravvivevano i colori e il folklore del Medioevo. Il padre di Hans era ciabattino, la madre era stata una piccola mendicante. Il suo ritratto ispirerà La piccola fiammiferaia. Ma per quanto poveri, gli Andersen erano una famiglia felice: la madre teneva con grandissima cura la casetta di una sola stanza, riconoscente a Dio anche del poco che avevano. Il padre, uomo non privo di una certa cultura, narrava al piccolo Hans le storie delle Mille e una notte e Il sogno d’una notte di mezza estate di Shakespeare; aveva costruito per lui un teatrino delle marionette e nei giorni di vacanza si concedeva lunghe passeggiate nei boschi assieme al figlio. Hans ereditò dal padre, uomo più portato al sogno che alla vita pratica, un carattere estremamente fragile e sensibile; dalla madre, donna analfabeta ma semplice e buona, quella sua imbarazzante altezza, ma anche un profondo senso dell’ottimismo e una bontà d’animo che sarà il tratto più caratteristico della sua personalità. Poi il padre s’entusiasmò per le idee di Napoleone e s’arruolò nel suo esercito. Quando lasciò la casa, Hans aveva otto anni ed era gravemente malato. La nonna, credendolo ormai destinato a diventare un orfano, gli sussurrava: Sarebbe meglio che tu morissi, ma sia fatta la vo- lontà di Dio. Andersen riporta questo fatto con simpatia per quella semplice donna che lo curava con grande affetto e che gli portava ogni settimana fiori freschi. E le perdona di cuore la frase poco felice. Forse per questo, in tutte le sue fiabe, dimostrerà grande devozione per le donne anziane. Ma non tratterà con altrettanta gentilezza le streghe: le loro teste vengono mozzate con sorprendente rapidità! Il padre, tornato dalla guerra più povero di prima, morì poco dopo. Sua madre per sopravvivere fece la lavandaia. Si diede poi all’alcol e finì la sua vita alcolizzata. Ma Hans fu sempre indulgente con lei: come si può giudicare una povera donna che se ne sta tutto il giorno al freddo con le mani nell’acqua gelida, se alla sera cerca di scaldarsi con qualche bicchiere di brandy? A quattordici anni Andersen lasciò Odense, per cercare fortuna a Copenaghen. Lo animava una smisurata passione per il teatro e per la letteratura e una incontenibile immaginazione. Salutò la madre e, con il fagotto in spalla e pochi quattrini in tasca, partì. Abbandonato a sé stesso, senza nessuno fuor che Dio in cielo. A Copenaghen si improvvisò attore, cantante, provò a ballare, a scrivere commedie. Solo il suo ottimismo e la sua immensa fiducia nella bontà di Dio gli permisero di superare le delusioni a catena e le porte che gli si chiudevano in faccia. Hans era un ragazzone sproporzionatamente alto, sgraziato nei movimenti, imbarazzato, brutto, candidamente ingenuo e, come suo padre, poco portato alla vita pratica. Ma ispirava sincera amicizia e infondeva in chi lo conosceva il desiderio di aiutarlo. Aveva il raro dono di saper raccontare: e il suo piccolo uditorio pendeva dalle sue labbra quando recitava le sue poesie, raccontava storie della tradizione della sua città e leggeva le sue opere teatrali. Furono questi amici a procurargli dal re Federico IV un sussidio che gli permise di frequentare il liceo e poi di laurearsi. Cominciò così a scrivere e poté vivere del suo lavoro. Ma le sue opere non erano granché. Finché a trent’anni buttò giù e pubblicò alcune fiabe. Kiekegaard, suo compaesano e contemporaneo, commentò: Andersen non ha idea di cosa sia una fiaba, ha un buon cuore e basta, ma cosa c’entra con la poesia?. Anche Andersen non credeva troppo in quella sua marginale esperienza letteraria. Ma la reazione del pubblico fu diversa. Le fiabe ebbero un successo strepitoso. Andersen, senza volerlo, si trovò ad essere un celebrato scrittore per ragazzi. La vita di Andersen, che sbuca fuori così spesso dal mosaico delle sue storie, diventava essa stessa una fiaba: il figlio del ciabattino, brutto povero e sgraziato, era ora onorato da re, regine e da grandi letterati dell’epoca. Ricevette una moltitudine di onorificenze. Ma, come il brutto anatroccolo diventato cigno, era troppo felice, ma non superbo, perché un cuore buono non diventa mai superbo. Il successo però non lo compensò mai di quello che, forse, gli stava più a cuore: soddisfare la sua angosciante ricerca di amore. Andersen rimane scapolo per tutta la vita. E non così felicemente come tanti psicologi vorrebbero credere. S’innamorò di Riborg, ma questa sposò un farmacista; s’innamorò perdutamente di Louise, ma non osò rivelare i propri sentimenti e soffrì intensamente per le disattenzioni della inconsapevole ragazza, che infine sposò un avvocato; s’innamorò, d’un amore bruciante, della sedicenne Sofia, che sposò un suo compagno di scuola; amò Enrichetta, che morì in un naufragio; s’innamorò della cantante Jebby – che gli ispirò la fiaba L’usignolo – ma anche con Jebby andò male. Andersen, certamente non bello e reso ancora meno attraente dalla sua eccessiva ed impacciata timidezza unita a una sensibilità troppo acuta, fu per tutta la vita frustrato e amareggiato dal non avere conosciuto l’amore. Il bacio nuziale, così ricorrente nelle sue fiabe, lo dovette solo immaginare. Nella mia vita ho immaginato così tanto, e avuto così poco confidò egli stesso. Aveva ricevuto onori, fama e benessere oltre ogni previsione: ma lui era rimasto solo. La sua infinita carica di ottimismo gli impedì tuttavia di piombare nella tetraggine. Hans era un fervente e convinto cristiano. La sua serenità si basava su una semplice, ma sincera fede nell’amore di Dio. Con animo da fanciullo, anche da anziano sapeva dire, come il personaggio di una sua fiaba: Più si diventa vecchi, tanto meglio si comprende, nella fortuna e nell’avversità, che Nostro Signore è sempre con noi, che la vita è la fiaba più bella, solo lui ce la può dare, e durerà in eterno. È bello vivere!. In queste frasi c’è tutto il credo di Andersen. La sua tenace convinzione che il bene trionfa sempre sul male, e che per compiere il bene si deve mettere in gioco tutto: come la piccola Elisa che, nella fiaba I cigni selvatici, per salvare i fratelli non esita a diventare muta, a sfidare le streghe ed anche la morte. La sua convinzione che il male e l’arroganza sono spesso sterili e ridicoli: basta ricordare il racconto I vestiti nuovi dell’Imperatore. La sua certezza che con la morte non finisce la vita, ma essa esplode in tutto il suo splendore nel Paradiso. La sua certezza che l’amore divino anima tutta la natura. Esiste un Dio amoroso, che conduce ogni cosa a miglior fine scriverà, come suggello della sua vita. Andersen ci lascia 156 stupende fiabe, tradotte in 160 lingue: degli autentici capolavori che oggi formano un vero patrimonio culturale dell’umanità. Che hanno affascinato ed educato intere generazioni di fanciulli e di adulti. E che continuano ad incantare. Ma con esse ci ha lasciato anche quella che forse è stata la sua fiaba più bella: la sua vita. Perché, come disse egli stesso, la mia vita è una fiaba. L’ALTRO ANDERSEN La fama universale delle sue Fiabe ha messo un po’ in ombra l’Andersen romanziere, oltre che poeta, giornalista e studioso. Quella del bicentenario è l’occasione per riscoprire almeno parte di questa produzione, che non mancherà di riservare sorprese.Tra i romanzi, sono appena usciti Il violinista in prima traduzione italiana integrale per Fazi Editore, e l’inedito Peer fortunato per Iperborea. Pubblicato nel 1837, Il violinista è il primo romanzo per adulti di Andersen, un fiore spirituale sbocciato dalla lotta che si svolgeva nel suo animo per la durezza delle circostanze contro cui la sua natura poetica era costretta a misurarsi. Narra la grande amicizia tra due bambini, Christian e Noemi, che una misteriosa carrozza separa nell’infanzia. Christian si consolerà con la passione per il violino e il sogno della celebrità, ma non smetterà mai di cercare Noemi per il resto della sua vita. Peer fortunato, del 1870, è l’ultima opera scritta da Andersen prima di congedarsi da questo mondo. La storia del giovane Peer, di umili origini ma dotato di eccezionale talento, che con grande forza di volontà e duro lavoro raggiunge le vette del successo, è la storia del grande scrittore danese, nato povero ma con l’anima del poeta, che con altrettanta abnegazione riesce a diventare famoso in un mondo borghese vuoto e indifferente. Ma Andersen fu anche un infaticabile giramondo, che dai suoi vagabondaggi ricavò gustosi resoconti di viaggio, come Il bazar di un poeta, la cui versione integrale è ora proposta da Giunti in una nuova traduzione. In essa, attraverso una serie di bozzetti, l’autore descrive le tappe del viaggio che nel 1840-41 lo aveva portato in Germania, Italia, Grecia, Turchia e infine, sulla via del ritorno, lungo le rive del Danubio.

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