Il teatro racconta le donne africane

La storia di due sorelle libiche durante le contestazioni al regime di Gheddafi è raccontata da Alessandro Ghebreigziabiher. Attese e speranze si mescolano all’esodo di migliaia di persone
Il nobel delle donne africane
Il 18 dicembre del 1990 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

Dieci anni dopo l’Onu ha dichiarato il 18 dicembre Giornata mondiale del migrante.

Purtroppo, fino al 2011, una gran quantità di Paesi non ha ancora ratificato la Convenzione e nonostante il contributo che i migranti forniscono alle nazioni nelle quali scelgono di vivere, spesso sono vittime di abusi, di discriminazione e di sfruttamento sui posti di lavoro. Anche l’Italia non ha ratificato la Convenzione e continua ad essere teatro di gravi episodi che hanno segnato anche gli ultimi giorni.

 

Può una pièce teatrale dare un segnale per sollecitare l’apporre di una firma?

Il regista Alessandro Ghebreigziabiher ci ha creduto e ha voluto farlo con l’arma che gli è più consona: la recitazione. Il Nobel alle donne africane interpretato da Cecilia Moreschi e Oriana Fiumicino è andato in scena alla Gallery degli Zingari di Roma proprio il 18 dicembre. Il ricavato della serata è stato devoluto per istituire un fondo per le spese mediche dei rifugiati.  

 

Prima della rappresentazione, interessante è stato l’intervento di don Mosè Zerai, direttore dell’agenzia Habeshia, voce dei rifugiati nei paesi di transito come la Libia, l’Egitto, la Tunisia e il Sinai, vittime dei trafficanti di schiavi e di organi.

Uno dei suoi obbiettivi principali è quello di rendere questo periodo di passaggio meno disperato possibile, istituendo come nel nord dell’Etiopia, al confine con l’Eritrea, un campo nel deserto. In questo campo è indispensabile, soprattutto per i minori, creare una mensa con una dispensa di medicinali ed una scuola per togliere i giovani da questa desolazione e salvaguardarli dai rapimenti.

Secondo i dati raccolti dall’UNHR, infatti, sono già spariti 4000 adolescenti usati per il traffico d’organi: dati confermati anche dalla CNN che ha fatto un’approfondita inchiesta.

 

Il Nobel per le donne africane racconta proprio di questo esodo tragico. In una scenografia scarna ma essenziale si snoda la storia privata di due sorelle libiche durante i giorni della rivolta contro il regime di Gheddafi, fino alla sua destituzione del dittatore.

Attraverso una scansione in otto quadri scenici avviene l’incontro-scontro fra personalità diverse: la prima, Emaan più buona e remissiva e la seconda, Naima più critica e dal carattere forte e autoritario che governa la casa ed i fratelli minori.

 

Progressivamente però, avviene uno scambio di caratteri che porterà al graduale rovesciamento delle parti. Dominante il tema dell’attesa perché entrambi i personaggi attendono notizie del padre che è andato a sostenere i rivoltosi per liberare la patria dalla dittatura.

Sullo sfondo della vicenda un auspicio: assegnare il Nobel a tutte le donne africane come giusto riconoscimento per tutti i sacrifici e gli sfruttamenti subiti. Quelli consegnati quest’anno sono un segnale che andrebbe esteso

Ma perché un regista teatrale ha voluto scrivere uno spettacolo del genere.

 

«Da diverso tempo sentivo la necessità di guardare un certo tipo di realtà, soprattutto per quanto concerne la dimensione delle donne, troppe volte bistrattate ed oggetto di regimi maschilisti come lo erano, per esempio, le donne libiche, ma pensavo fosse importante farlo raccontando storie di gente comune, negli anfratti del focolare domestico – ha detto Alessandro Ghebreigziabiher -.

L’idea si è rafforzata guardando gli eventi delle primavere arabe attraverso i mezzi di comunicazione dove le notizie vere erano diramate dal privato cittadino e non dalle tv di stato».Tenete d’occhio il cartellone, nei prossimi mesi la rappresentazione toccherà alcune città della Toscana e dell’Emilia Romagna.

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