Il Supremo tribunale sospende il processo di destituzione di Dilma Rousseff

I colpi di scena si susseguono. Prima l’accoglimento delle accuse contro la presidente, poi la maggioranza perde nella votazione per eleggere la commissione di deputati che le studierà e, infine, la decisione della giustizia di analizzare il procedere della Camera. Un Parlamento frammentato dove le alleanze durano poco
Dilma

Quando alcuni mesi fa apparve l’eventualità di un processo di destituzione della presidente del Brasile, Dilma Rousseff, questa venne considerata da alcuni analisti quasi un esercizio teorico. La maggioranza di voti necessaria per un processo del genere sembrava difficile da raggiungere e la presidente era riuscita a blindare il suo governo con nuovi accordi e rimpasti di gabinetto negoziati tra il suo partito dei Lavoratori (Pt in portoghese) ed i suoi alleati, in particolar modo col partito del movimento Democratico del Brasile (Pmdb).

Oggi non si pensa più lo stesso, mentre continua l’altalena degli eventi di una crisi che alcuni chiamano proprio per questo di “bipolarità”. Una settimana fa, Eduardo Cunha, presidente della Camera dei Deputati ed avversario della presidente, ha accolto una delle quasi 30 petizioni presentate da differenti rappresentanti dell’opposizione. In questi giorni, inoltre, la maggioranza non è riuscita a imporre la sua lista di nomi della commissione di deputati che dovrà studiare le accuse rivolte contro la presidente. La lista dell’opposizione ha raccolto 229 voti mentre la maggioranza non è andata oltre i 199 voti. Un nuovo rovescio che alcuni hanno considerato come preannunciato dalla lettera del vicepresidente, Michel Temer, leader del Pmdb, nella quale si lamentava della sfiducia e del suo poco coinvolgimento da parte di Dilma Rousseff nelle decisioni chiavi. Una lettera privata, si suppone, ma che è stata fatta filtrare alla stampa e nella quale prende corpo la distanza che pare stia sempre più prendendo il vicepresidente dal governo. Potrebbe essere questo il colpo definitivo. L’uso del voto segreto durante la votazione nella Camera per la commissione che analizzerà le accuse contro la presidente, che ha consentito l’azione di vari franchi tiratori, ed alcune presunte irregolarità commesse durante la sessione hanno meritato l’intervento del Supremo tribunale federale che ha sospeso ogni procedimento in attesa di pronunziarsi il prossimo 16 dicembre. Se si vuole, un altro colpo di scena in un clima politico nel quale è difficile fare predizioni.

Le accuse rivolte contro Rousseff devono possedere un fondamento giuridico per essere accolte. La si accusa di irregolarità nella gestione. In sostanza, modifiche ad alcune voci di spesa per farle rientrare, tra il 2014 ed il 2015, nel successivo bilancio. Un peccato tutto sommato veniale, se si considera che in ottant’anni il tribunale che fa la revisione dei conti non ha mai eccepito metodi del genere applicati da tutti i governi precedenti. Un dettaglio che non deve essere sfuggito a Cunha, avversario del governo pur facendo parte dello stesso Pmdb del vicepresidente Temer, che lo stesso ha deciso di prendersi la sua rivincita quando ha avvertito che la commissione di etica della Camera voterà probabilmente per la sua destituzione. Ed in questo caso il motivo è molto più grave. Cunha appare coinvolto nello scandalo Petrobras: la giustizia gli ha scoperto vari conti bancari non dichiarati per cinque milioni di dollari, la cui esistenza ha negato fino all’ultimo momento.

La maggiore preoccupazione per il governo è la relazione col vicepresidente Temer. Un politico abilissimo ed un abile negoziatore che fino a qualche settimana fa rappresentava per Rousseff un’ancora sicura. Un divorzio col Pmdb aprirebbe la strada alla possibilità di una crisi istituzionale in un contesto economico avverso al Paese, la cui recessione è tra le peggiori degli ultimi decenni. L’ex presidente Inacio Lula da Silva, ha rilevato con preoccupazione: «È come se viaggiassimo su un treno che deraglia. Non possiamo stare a litigare su quali vagoni ciascuno deve occupare». Temer, non senza certa ambiguità, parla da settembre di formare una alleanza nazionale bastata nella “solidità istituzionale”, che consenta di riunificare tutti su una base alleata e politica «più solida in termini di governabilità, attualmente molto instabile». Per alcuni analisti Temer starebbe cercando di guidare un futuro governo, col consenso di banchieri e grandi industriali che non hanno mai visto di buon occhio un governo sotto la guida del Pt e per i quali non è stato sufficiente il giro politico di Rousseff ed il suo piano di austerità. Antonio Porto, ad esempio, professore di economia della università privata Fondazione Getulio Vargas, considera che «Dilma ha perso. Il Pmbd seguirà Temer».

 Intorno al vicepresidente si smentiscono le voci di una cospirazione. Per la sinistra si tratta di un golpe soft che utilizza cavilli legali per negare il mandato degli elettori alla gestione della Rousseff. Non è un mistero che un cambiamento del genere sarebbe ben visto da settori finanziari e della grande industria che sono in rotta di collisione con le politiche sociali di questi anni. Fin qui tollerate, perché finanziate dalla crescita degli ultimi dieci anni ma che oggi fanno i conti con una congiuntura economica avversa. La poca efficienza e la scarsa creatività della presidente hanno fatto in questi mesi il resto. Resta comunque il dubbio se è effettivamente un buon servizio alle istituzioni negare l’effettività del mandato elettorale. Si direbbe proprio di no.

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