Il sindaco dimissionario e le accuse alla curia

La ricostruzione pubblica – case popolari, scuole, uffici – è ferma, quella privata si bloccherà nei prossimi mesi, perché mancano i fondi. L'amarezza del primo cittadino rasenta la disperazione, ma non giustifica il feroce attacco alla chiesa locale che chiede invece regole certe nell'affidare gli appalti
Il centro storico de L'Aquila

Certo, si può capire l’amarezza di un uomo che prende atto della propria sconfitta, di un sindaco battagliero che ha visto distrutta dal terremoto la città che governava e non è riuscito a ridarle un futuro. Massimo Cialente ha sentenziato: «Ho perso» e ha deciso di dimettersi, comunicandolo nella conferenza stampa convocata qualche giorno fa. «Oggi sento di essere un peso per la città», ha precisato. Non va dimenticato inoltre che l’inchiesta sulle tangenti ha decapitato la struttura dell’emergenza e coinvolto uomini della sua amministrazione.

La situazione dell’Aquila è oltremodo drammatica. Il primo cittadino ha sintetizzato: «La ricostruzione pubblica – case popolari, scuole, uffici – è ferma, quella privata si bloccherà nei prossimi mesi, perché mancano i fondi. I 100 milioni per il rilancio economico sono bloccati da oltre un anno per le lungaggini e i cavilli dei funzionari ministeriali».

Un’amarezza che rasenta la disperazione. Comprensibile, ma che non giustifica il feroce attacco alla curia della città racchiuso in una lettera riservata al presidente Napolitano, resa nota per l’occasione. Cialente aveva scritto l’11 dicembre al Capo dello Stato lamentando l’imminente spostamento a Pompei del dirigente Magani, del ministero dei Beni culturali e del Turismo, di stanza nella città terremotata per coordinare gli interventi di ricostruzione. Il sindaco lancia un’accusa pesante: «Siamo convinti che venga rimosso in quanto ostacolo ad un disegno che si è tentato e si sta tentando di inserire come norma di legge, che vedrebbe la Curia, la più grande immobiliarista della città, diventare soggetto attuatore per la ricostruzione di tutti i suoi edifici, compresi i luoghi di culto». Come se non bastasse, aggiungeva che: «Abbiamo fondati sospetti che la rimozione di Magani sia un tassello di un disegno, non considerato pienamente nelle conseguenze, che potrebbe comportare, addirittura, che i fondi per la ricostruzione privata delle case andranno alle chiese. Chi lo spiegherebbe all’Italia?».

Un’accusa pesantissima, che mette in luce la distanza tra Comune e Curia aquilana, i cui rapporti si sono deteriorati nel corso della complessa e complicata situazione del dopo terremoto, a motivo del fatto che, secondo l’amministrazione locale, tutti i soldi della ricostruzione sarebbero dovuti passare attraverso il Comune. La reazione del sindaco poggia perciò sul fatto che l’arcivescovo del luogo intenda inserire come norma di legge la clausola che vedrebbe la Curia come soggetto attuatore per la ricostruzione di tutti i suoi edifici. La sua irata posizione nasce invece dall’aver scoperto a operazione quasi conclusa la trattativa con i competenti uffici romani.

La replica ecclesiastica non si è fatta attendere, ma è stata diversa nel tono e nella forma. Nessuna convocazione mediatica, nessuna intervista da rilasciare, ma il semplice ricorso ad una sorta di comunicato stampa. Mons. Giuseppe Petrocchi è arrivato in diocesi solo a metà luglio dello scorso anno e l’atterraggio, in tema di ricostruzione, non deve essere risultato morbido. Ha dato avvio ad un gioco di squadra, perché il cosiddetto cratere del terremoto comprende anche località esterne alla diocesi aquilana, ma ha dovuto assistere, in prossimità del Natale, all’arrivo in curia della Guardia di Finanza, giunta con lo scopo di acquisire documenti relativi alla ricostruzione di edifici della diocesi, mentre ha gestito la vicenda di tre sacerdoti e un impiegato della curia, indagati per gli appalti di alcuni lavori eseguiti subito dopo il terremoto.

Petrocchi fa sapere innanzi tutto che la «Curia intrattiene rapporti di stretta collaborazione con il dr. Magani e viene pienamente condiviso il desiderio dell’on. Cialente, che il dr. Magani continui la sua opera in Abruzzo». Precisa inoltre che «l’unico intento della Curia aquilana è poter disporre di regole meglio articolate e certe, in grado di determinare con chiarezza modalità, entità e tempi dei finanziamenti per la ricostruzione del patrimonio ecclesiastico, con la motivata volontà di contribuire così alla rinascita spirituale, culturale e sociale della nostra Città».

Ma eccoci al punto cruciale, l’inserimento della controversa clausola. «Si tratta di una richiesta fatta da tutti i vescovi della Conferenza episcopale di Abruzzo e Molise, che quindi non interessa solo l’Aquila, perché anche in Abruzzo si possa seguire la stessa procedura adottata – per le chiese e gli edifici ecclesiastici – nei terremoti avvenuti in Umbria, nelle Marche e recentemente in Emilia e Lombardia». Il presule ha inoltre chiarito che «negli incontri avuti nelle competenti sedi istituzionali si è premurato di far inserire nella proposta di norma cui si fa riferimento la possibilità di fare convenzioni con altri enti (Comune, Provveditorato opere pubbliche e Direzione regionale dei Beni artistici e ambientali) per affidare ad essi la gestione dei finanziamenti e degli appalti riguardanti le chiese».

In sostanza, la richiesta riguarda «regole meglio articolate e certe» e un ruolo di «soggetti attuatori», come accaduto già per altre diocesi e per gli stessi enti religiosi del territorio aquilano. Ha commentato mons. Valentinetti, arcivescovo di Pescara e presidente della Conferenza episcopale di Abruzzo e Molise: «Certo, gestire in maniera diretta appalti e fondi è un lavoro grande per la Curia. Per questo, negli incontri con la Presidenza del Consiglio dei ministri, l’arcivescovo dell’Aquila ha chiesto di introdurre una nota per prevedere una specifica convenzione con altri enti». Comune compreso. In attesa di sviluppi (speriamo positivi), resta il fatto che, senza una guida politica, la situazione per gli abitanti si fa ancora più pesante.

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