Il silenzio è il segreto del dialogo

Ascoltare prima di esprimere giudizi affrettati su processi complessi e di non facile comprensione. Un convegno sulla situazione del nord Africa
silenzio
In Europa ci siamo dimenticati troppo presto di Socrate che affermava di saper di non sapere e si metteva in atteggiamento di ascolto. E Socrate, lo sappiamo, è il padre dell’arte del dialogo, nata proprio dalle sue domande, dal suo silenzio e dal suo ascolto. Proprio queste dimensioni del silenzio e dell’ascolto sono ciò che ci manca oggi, in occidente e, in particolare, in Italia.

 

 Lo diceva già un grande italiano, che sapeva guardare ai popoli e alla storia con l’occhio di cristiano e che aveva intuito quanto fosse cruciale per la pace del mondo l’area mediterranea: Giorgio La Pira. Già sindaco di Firenze, uomo di pace e di dialogo, Giorgio La Pira notava «l’incapacità dell’uomo occidentale di trovare spazi di silenzio e meditazione». Ovviamente un silenzio che non è passività, ma ascolto vero, previa rimozione di miei assunti o pregiudizi.

 

«Il silenzio è un modo di vivere il rapporto con sé e con gli altri. Il silenzio è un abitazione. Fare silenzio è ben altra cosa che stare zitti, è creare uno spazio, un luogo dentro di sè dove riportarsi dalla periferia o frontiera di se stessi lungo la quale avviene l’incontro con la cronaca quotidiana».

 

Marie Delbrêl afferma che «il silenzio è qualche volta tacere, ma è sempre ascoltare». Il silenzio è, dunque, fondamentale per creare il rapporto con l’altro e con gli altri. «Il termine ascoltare – come pure guardare –evoca l’idea di un contatto in profondità, di volontà di andare a fondo».

 

E tutto questo garantisce il rapporto e, quindi, l’apprendere dell’altro ciò che l’altro esprime di sé, non quanto io decido che l’altro sia. Il silenzio e l’ascolto, inoltre, ci aiutano ad eliminare un aspetto distruttivo del rapporto: il pregiudizio. Albert Einstein affermava che è più facile disintegrare l’atomo che eliminare un pregiudizio.

 

Il pregiudizio è come una «fretta ancora più nascosta, che ci impedisce di ascoltare, ed è la fretta con cui noi, subito, immediatamente, cataloghiamo la persona che ci parla. Al punto che crediamo di sapere già dove vorrà parare col suo discorso. E così avviene che noi invece di ascoltare, pur tacendo di voce, noi parliamo a noi stessi di quella persona e ne parliamo indipendentemente da lei, come a noi pare e piace e così non la incontriamo, non l’accettiamo, non ci immedesimiamo in lei».

 

E’ esattamente quanto l’Europa rischia di fare con la situazione che si è creata in nord-Africa, con la sua gente e con le diverse culture che la caratterizzano. Proprio qui, penso, stanno alcuni degli snodi essenziali del passaggio da uno scontro ad un incontro di religioni e civilità: il silenzio, l’ascolto e l’empatia. Quest’ultimo aspetto deve essere considerato proprio nella sua radice greca: sentire con l’altro come se fossimo uno.

 

Per questo è necessario il silenzio, per poter ascoltare senza pregiudiziale, come afferma il teologo tedesco Guardini: «Solo dal silenzio può nascere il vero ascolto». Da qui nasce il dialogo non tanto fra culture e religioni, ma fra uomini e donne di fede e di culture diverse. Sono gli uomini e le donne che dialogano, non ciò in cui credono e/o l’humus culturale in cui sono nati e cresciuti.

 

(dal blog di Roberto Catalano)

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