Il servizio di Karol

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Quello che piace subito, nel nuovo libro del papa, è che l’autore può essere nominato come Giovanni Paolo II, o Karol Wojtyla, o solo Karol il cui nome è scritto in cielo, come promette il capitolo decimo di Luca. Infatti qui parla, attraverso una scrittura familiare ma precisa e alta, un uomo che non è solo uno dei più grandi del nostro tempo, ma che del nostro tempo si è fatto, si fa, compagno di strada inflessibile tanto nell’amicizia quanto nella verità; nella verità incarnata, beninteso, cioè in quella di Cristo. Ecco, si sente subito che per aver incarnato in sé l’Incarnazione, l’uomo Karol e il papa coincidono in una parola non dottrinaria anche quando è di dottrina, non astratta, non devitalizzata: dentro cui passano l’adolescenza dura nell’orfanezza (e ricordo una foto stupenda di ragazzo tenero e aperto), lo sgomento della guerra tormentoso per l’impotenza, l’amore per la natura che conforta (come un sacramento aggiunto) della nequizia umana, la santa lezione del lavoro, e in tutto la progressiva inarrestabile scoperta di Dio, e via il sacerdozio l’episcopato, il papato; attraverso una lunga fedeltà che è stata, al tempo stesso provata e resa immune dai più giganteschi marosi della storia recente, fino al carismatico non avere paura gridato al mondo prima e verso il crollo dei muri ideologici. Non che lui pure non abbia dovuto aprire la porta a Cristo – che è più grande di ogni uomo (anche geniale) e della chiesa stessa – con tutto ciò che comporta questa apertura di allargamento e di lacerazione, anche, dei propri limiti umani, culturali, storici; ma lo ha fatto, e lo fa, Karol, con l’obbediente – eppure ruggente – umiltà che lo segna, e che lo farà chiamare Magno dai posteri; cosicché ancor oggi appare, a chi lo guarda e lo ascolta bene, egli stesso in ascolto (ob-audiens, obbediente, appunto), piegato dall’età e irriducibile nella malattia. Dopo Varcare le soglie della speranza e Dono e mistero questo Alzatevi, andiamo, che ripete il comando di Cristo agli apostoli nel Giardino degli Ulivi, continua a raccontare l’esperienza. di un cristiano che vive riconoscendo, disse un altro Magno (Leone I), la propria dignità: quotidiana sia nella normalità che nell’eccezionalità; di un cristiano vescovo e papa che, raccontando il suo episcopato polacco (e romano in controluce) anche con attente spiegazioni teologico-liturgiche, oltre che con flash di memoria e confidenza, chiama i vescovi e tutti i cristiani di oggi a una fede che ha il coraggio di riaprire e di manifestare in modo sempre nuovo (…) davanti agli uomini (…) l’intatto tesoro dei misteri di Dio. In modo che ogni vocazione nella chiesa trovi la sua specifica realizzazione incarnando secondo il proprio disegno l’amore (…) che unisce tutto. Dietro il volo di fedeltà del cristiano Karol c’è molta preghiera, e pur nella ricca attività intellettuale, spirituale e pastorale, molta pazienza, cioè capacità di patire, che nel suo caso significa servire, trasformare l’autorità in servizio sia nel comandare che nell’obbedire. Lo dice con i versi del poeta Liebert: Ti sto imparando,/ uomo./ T’imparo piano, piano./ Di questo difficile studio/ gioisce e soffre il cuore . E il servizio però non è solo sacrificio: in curia venivano tutti per qualsiasi cosa. Era la vita. Pastorale, cultura, insegnamento, libri, difficili rapporti con le autorità comuniste: tutto per scavare il profondissimo rapporto tra l’amore e la verità, lottando, cantando (gli è sempre piaciuto), formando, insieme a sé stesso, tante persone evangeliche. Oggi occorre molta immaginazione per imparare a dialogare sulla fede e sulle questioni fondamentali per l’uomo. C’è bisogno, cioè, di persone che amino e che pensino, ed è essa ad alimentare il nostro pensiero e ad accendere il nostro amore. La nuova e necessaria. fantasia della carità lo matura e lo eleva, convincendolo che vale la pena dare la vita per il Vangelo e per 1 fratelli! , e che nulla è più suo, perché mio è parola da sostituire davanti a Dio con Tuo. A chi leggerà questo nobile libro segnalo particolarmente le luminose pagine su san Giuseppe (107-111), dalla cui paternità spiritualmente deriva anche quella episcopale, e sulla collegialità (120-125), con l’esortazione finale, che riprende titolo e Vangelo, ad andare fino alla meta che Lui solo conosce.

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