Il senso della malattia

Il significato della malattia nell’insegnamento della chiesa In base ai documenti riportati nelle puntate precedenti, una interpretazione cristiana della malattia si può così schematizzare: a) Significato punitivo-pedagogico. A volte la malattia è vista come punizione per il peccato, ad esempio nel passo già citato di Paolo (1 Cor 11, 29-30). Parlare oggi di punizione da parte di Dio, è fare un discorso che spesso non viene accolto. Punizione per il peccato, in realtà, può voler dire la conseguenza dello stato peccaminoso dell’umanità, senza uno specifico riferimento al peccato del singolo. Ma, se è vero che nella maggior parte dei casi Dio permette la sofferenza e la malattia per il bene dell’uomo che si ammala, è anche vero che in alcuni casi – come, ad esempio, in quello della morte di Anania e Saffira – troviamo l’intervento punitivo di Dio in conseguenza del peccato personale. b) Significato ascetico. Altre volte, la malattia è una purificazione per i peccati commessi. Un esempio è l’episodio degli Atti in cui Paolo e i suoi compagni sono a Cipro, dove un mago, Elimas, fa loro opposizione, cercando di distogliere il proconsole dalla fede. Paolo allora gli dice: Ecco, la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole (At 13, 9-11). Il fatto della cecità di Elimas il mago è appunto il caso di una malattia purificatrice, che cioè porta i suoi effetti purificatori con il tempo. Anche l’episodio della malattia agli occhi che colpisce Saulo, dopo la visione sulla via di Damasco, ha questo senso di purificazione nell’ascesa a Dio, che renderà l’Apostolo atto a contemplare pienamente la gloria del Risorto. c) Significato salvifico. Infine, la malattia può essere per l’espiazione dei peccati e per il bene degli altri: Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa (Col 1,24). Questo è certamente il significato più profondo e più proprio della malattia alla luce del Nuovo Testamento. Anche se Paolo intende qui parlare delle sofferenze proprie dell’apostolo, si può sicuramente intendere che tutte le sofferenze e le malattie accettate per amore di Cristo crocifisso completano la passione di Gesù. Ma queste tre spiegazioni esauriscono l’interrogativo della sofferenza e della malattia? Fanno luce per sempre su questo mistero dell’uomo? Se pensiamo ai milioni di denutriti dell’India o di altre parti del mondo, alle atrocità di tanta nostra storia contemporanea, laddove si vive tra gli stenti e si muore innocentemente senza appartenere, almeno visibilmente, alla chiesa e senza conoscere Cristo, allora riaffiora e si ripropone il problema di Giobbe, tanto da far parlare oggi di un Giobbe collettivo: la malattia è e resta un mistero di Dio. Ciò richiede allora da noi uno sguardo ancora più profondo nella considerazione della sofferenza umana, recuperando la stessa testimonianza di Giobbe dell’Antico Testamento. Il libro di Giobbe è un dramma a diversi personaggi: il principale è Giobbe, un uomo giusto che viene privato di tutto e sì ammala ad opera del demonio. Giobbe allora comincia a dubitare che Dio sia giusto finché, quand’è giunto all’estremo delle forze, Dio stesso gli appare e gli mostra la sua grandezza. Giobbe allora gli risponde non più con un ragionamento, ma in contemplazione, e gli dice; Comprendo che puoi tutto e che nulla è impossibile per te. Chi è colui che, senza aver scienza, può oscurare il tuo consiglio? Ho e s p o s t o dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che non comprendo (…). Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento su polvere e cenere (Gb 42, 1-6). Il dolore e la malattia sono un mistero imperscrutabile di Dio; ma, attraverso il dolore e la malattia, accettati così, si ha, come Giobbe, una più piena visione di Dio, sia pure nella tenebra divina. E ciò ci svela qualcosa del significato profondo della malattia stessa. Le cause della malattia Cosa ci dice la chiesa sulle cause della malattia? Negli scritti dogmatici della chiesa, come abbiamo detto, non si parla della condizione di malattia, ma piuttosto della realtà della morte, che certamente è legata alla malattia. Il Concilio di Trento ribadì che la morte è conseguenza del peccato, anche se evitò di pronunciarsi sulla condizione originaria dell’uomo, precedente al peccato. Il nuovo rituale sul sacramento dell’unzione degli infermi, nelle premesse, usa queste espressioni: Non si può negare che ci sia uno stretto rapporto fra la malattia e la condizione di peccato in cui si trova l’uomo. Il testo afferma quindi che c’è un legame fra la malattia e il peccato, anche se non sempre personale. La Conferenza episcopale italiana, nel documento su Evangelizzazione e Sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermi, parlando della malattia e delle sue cause, dice: Secondo la fede cristiana la malattia ha la sua origine, oltre che nella finitezza della creatura umana, nella corruzione introdotta nel mondo dal peccato (n° 132). Questo documento afferma, quindi, che la malattia viene all’uomo non solo a causa del peccato, ma anche a causa della finitezza della natura umana. Il documento è autorevole e rispecchia l’orientamento della teologia attuale, che lega la malattia alla realtà della creaturalità umana, oltre che al peccato. Il significato della guarigione Nella chiesa, anche se in forma ridotta, sin dal tempo di Pietro e Paolo (cf. At 3, 1-10) ci sono sempre stati miracoli di guarigione: qualcosa cioè che supera le leggi della natura. E ciò è sempre stato visto come segno e testimonianza della santità della chiesa e dei suoi membri. È da tener presente, a tale proposito, che ogni guarigione avviene quando essa è di giovamento spirituale alla persona malata. Se tante guarigioni non avvengono, ciò può dipendere dal fatto che quella particolare guarigione sarebbe un impedimento o un ostacolo alla santità personale del malato. E per questo che Gesù richiedeva quasi sempre la fede in coloro che guariva, cioè un’opzione fondamentale di vita. D’altra parte, le guarigioni che avvengono nel mondo sono certamente moltissime, anche se non tutte rientrano nel numero delle guarigioni miracolose riconosciute come tali canonicamente dalla chiesa; sono guarigioni ottenute, ad esempio, dalla preghiera delle madri e dei padri per i figli, e viceversa. Tutto ciò dice come desiderare e credere nella guarigione del malato ad opera della fede e delle preghiere faccia parte del patrimonio profondo della chiesa. In questo senso, possiamo anche accennare alla speranza, e al suo significato nei riguardi della malattia e della guarigione. L’atto della speranza teologale è il desiderio pieno di fiducia della beatitudine eterna; la speranza, cioè, ci da la sicurezza dell’aiuto di Dio per raggiungere la beatitudine eterna, e anche per ottenere ciò che ci è necessario per raggiungerla. Fra questi aiuti necessari, non ci sono di per sé la salute o l’esenzione da disgrazie; ma ci possono essere, se ciò giova al bene intero e ultimo della persona. Leggendo le lettere dei primi secoli del cristianesimo, troviamo spesso citata, in tal senso, la speranza. I primi cristiani erano fiduciosi nelle avversità; pur essendo poche comunità sparse nel grande Impero romano, avevano la speranza e, nelle lotte e nelle persecuzioni, essa consentiva loro di chiedere a Dio salute e salvezza. La speranza è qualcosa che non è fuori, ma dentro di noi; è quello slancio vitale che ci fa vivere trascendendo noi stessi, che ci toglie dalle disperazioni, e che ci ancora saldamente al divino. Dobbiamo sperare perché Dio ci ama. Ciò non vuoi dire che non potranno esserci momenti di incertezza, di grande travaglio, di disperazione, anche a causa di gravi prove fisiche o psichiche; ma la speranza ci da la certezza dell’amore di Dio e del suo aiuto che non ci può mai mancare. Il rapporto fra malattia e dolore Parlando del dolore dell’uomo, una prima distinzione da fare è quella fra il dolore fisico e quello spirituale, tenendo presente però che nel Nuovo Testamento la parola corpo significa generalmente tutto l’uomo: non c’è nella concezione ebraica, che è alle radici del pensiero cristiano, la netta separazione tra anima e corpo, che è tipica invece della filosofia classica greca. Si può affermare, quindi, che il dolore non è mai soltanto fisico o soltanto spirituale. Non c’è dolore fisico, infatti, che non abbia ripercussione sulla sfera emotiva, spirituale o morale dell’uomo: e ciò sia in senso negativo, con l’abbatterlo e con l’accasciarlo, che in senso positivo, con il superamento e l’accettazione del dolore stesso. Il dolore ha poi ripercussioni enormi anche di carattere sociale; basti pensare ai casi di famiglie colpite dalla grave malattia di uno dei loro membri. Il dolore incide sempre profondamente anche sul rapporto che l’uomo ha con l’altro uomo. È qui che vediamo come la malattia – e il dolore provocato dalla malattia – non tocca solamente il corpo dell’uomo, né solo la sua condizione spirituale, ma tocca più in profondità la realtà stessa dell’essere-persona dell’uomo. La condizione di malattia, ad esempio, tocca la persona umana, limitandone la libertà. Il malato dipende, in primo luogo, dal medico. Se è poi ospedalizzato, ad esempio in quegli ospedali dove non c’è una vera assistenza caritativa umana e cristiana, il malato viene svalutato come persona; si trova bloccato, impacciato, impedito. Ciò d’altra parte si verifica spesso anche in famiglia: ogni volta che il malato non viene valorizzato come uomo in senso pieno, non gli viene riconosciuta quella stessa dignità personale che aveva prima di ammalarsi. Arriviamo qui a quella che è la vera sofferenza del malato: egli non è più un uomo attivo, creativo, in una positiva dimensione di socialità: è impedito nel suo essere persona. Ecco il senso delle moderne associazioni fra malati, le cui finalità sono appunto quelle fondamentali di rendere attivi e creativi i malati – anche per quanto riguarda il lavoro – attraverso il rapporto, onde possano riacquistare, per quanto possibile, la loro integra personalità. Sono queste finalità sane, pienamente umane e cristiane, che riecheggiano il principio soprannaturale testimoniato dalla chiesa; la quale afferma che la sofferenza è principio di redenzione del genere umano, ponendo così il malato in una posizione assolutamente creativa. Il malato è in realtà persona in modo pieno e prezioso, e contribuisce all’edificazione del corpo mistico. Ma questo significato profondo della sofferenza e della malattia si comprende solo alla luce del mistero di Gesù crocifisso e abbandonato. Egli infatti non solo è la sintesi di ogni dolore fisico e spirituale, ma è il culmine di quel dolore che tocca l’uomo nel suo essere più profondo. In Gesù crocifisso che grida l’abbandono è colpito il cuore stesso del suo divino essere Persona: il rapporto al Padre. Ma proprio in questo mistero estremo di dolore e di abbandono, egli rovescia questo totale spogliamelo di sé nella realizzazione perfetta dell’essere-Persona: perché è lì che Gesù è pienamente Amore, dono dì sé al Padre nello Spirito. La risurrezione di Gesù è il segno della redenzione del dolore – e anche della malattia – nel suo aspetto più profondo: la malattia, che può colpire il cuore dell’essere persona, si trasforma in Gesù crocifisso e abbandonato nella possibilità di realizzare la persona nella sua dimensione più autentica; cioè nella capacità di donare sé stessi per la redenzione dei propri fratelli (cf. Col 1,24). Il mistero della morte di Gesù Al termine di queste considerazioni, possiamo concludere che la chiesa è, nella sua missione, una continuazione della vita di Gesù e degli apostoli non solo per la grazia della salvezza delle anime, ma anche per aiutare i corpi. Se guardiamo alla realtà profonda delle cose, vediamo che questo potere deriva alla chiesa dal mistero della morte e risurrezione di Gesù. Gesù risorge dalla morte, vince la morte e, con questa, anche la malattia. Naturalmente, soltanto attraverso la seconda venuta di Gesù, con la piena e definitiva instaurazione del Regno di Dio, ci sarà la guarigione totale da tutte le miserie e dalle malattie. Ma la risurrezione di Gesù incomincia a farsi sentire sin d’ora su q u e s t a terra; e la chiesa, che crede a questa potenza di Dio, ed è l’interprete fedele dì questa vita che giustamente è stata chiamata vita risuscitante , anche se non ancora risuscitata (O. Clément), testimonia con la sua potenza, nelle anime primariamente, ma anche nei corpi, il suo cammino verso i Cieli nuovi e le Terre nuove.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons