Il senso del dolore

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La lunga sofferenza di Giovanni Paolo II, alla fine della sua vita, è stata la sua lezione magistrale, da ammalato, per tutti gli ammalati. Le notizie che hanno scandito i suoi ultimi giorni hanno trasmesso a noi, fra sofferte apparizioni in pubblico, ultimi testi del triduo pasquale e confidenze filtrate ufficialmente, l’immagine di un padre e pastore che ha vissuto il dolore salvifico con tutta la generosità di comunione con il Crocifisso e tutta la densità della sua efficacia per la chiesa. L’immagine di Karol Wojtyla, giovane sano e sportivo, di sacerdote sciatore, di pastore forte e robusto alla guida del suo popolo e di giovane papa nella pienezza della sua età adulta, con tutte le energie per girare il mondo, si è incrinata a partire dall’attentato del 13 maggio 1981. Abbiamo visto l’immagine umanissima di un papa nel letto di un ospedale al suo primo ricovero, al quale ne sono seguiti altri per diversi motivi. Il papa sano è diventato sempre più un papa ammalato fra gli ammalati, costretto ad usare il bastone, non più in grado di reggersi in piedi, privato della parola… in una lunga e progressiva kenosi, lo spogliamento sulla croce. Giovanni Paolo II non ci ha lasciato soltanto un magistero vivo e ricco di parole sulla malattia e sui malati, ma anche uno stile magisteriale fatto di gesti di predilezione per i malati, come persone che rivelano il volto del Crocifisso e sono posti al centro della vita della chiesa e delle comunità ecclesiali. Lo abbiamo visto fin da uno dei primi gesti del suo ministero, quando il giorno dopo la sua elezione si è recato a far visita al suo amico mons. Deskur, ricoverato in ospedale, quando ha voluto vicino a sé malati ed handicappati nella messa della sua solenne intronizzazione come vescovo di Roma e nelle udienze e nei viaggi apostolici ha avuto parole e gesti di riguardo verso gli infermi, ha visitato ospedali per ogni tipo di malattie, ha accarezzato piccoli e grandi, afflitti da malattie incurabili. Sintesi di questo magistero è la lettera apostolica Salvifici doloris sul senso cristiano della sofferenza umana. Un testo che ha ispirato la fondazione del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari e l’istituzione della Giornata mondiale del malato. La Salvifici doloris è quindi il punto di riferimento biblico e teologico per una teologia della malattia e del dolore, la sintesi di quel vangelo della sofferenza, come egli lo ha chiamato, che ha il suo culmine nella contemplazione del Crocifisso abbandonato del Calvario al quale sono associati quanti vivono la propria malattia, perché la sofferenza è comune a tutti, e tutti i dolori hanno senso perché assunti e valorizzati dal Crocifisso risorto. Lo ha scritto alla fine di questa lettera, il papa, e lo ha vissuto esemplarmente davanti alla chiesa e al mondo: Occorre che sotto la croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo (…). Là pure convengano gli uomini di buona volontà. Perché sulla croce sta il Redentore dell’uomo, l’Uomo dei dolori che in sé ha assunto tutte le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell’amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi.

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