Il sapore della mia terra

Sono nata in un villaggio della Moldova, così piccolo che non riesco a localizzarlo con esattezza sulla carta geografica. Sarebbe comunque un punto insignificante fra tanti altri… . Un punto però che dice casa e tale rimarrà sempre per chi ci è nato e lì ha trascorso la sua giovinezza. Così ne parla Valeria Mocanas?u nel suo primo romanzo, Il sapore della mia terra (Ed. Angolo Manzoni), cimentandosi direttamente – senza la mediazione del traduttore – in quella che da alcuni anni è diventata la sua seconda lingua: l’italiano. Se il grande scrittore vittoriano Thomas Hardy ha avuto bisogno di un’intera regione – il teatro del suo Wessex – per rappresentare la gamma delle passioni umane, più modestamente – ma con esiti letterari felicissimi – la Mocanas?u ci narra la sua Romania attraverso le piccole storie di Rodna, villaggio di sessanta case sperduto nella valle del fiume Moldova. E lo fa in modo diretto, spontaneo, colorito, con lo sguardo della bambina che rivive in lei. Sì che anche il lettore privo di esperienza contadina si sente trasportato in questo microcosmo rurale che conosce la povertà, il rancore, i pregiudizi, ma anche la solidarietà e una fede profonda, tra gente semplice i cui ritmi ancestrali vengono sconvolti dall’arrivo del comunismo, dall’espropriazione della terra e dei beni… È la storia della sua famiglia, di quelli che poi sono diventati i suoi genitori, Elena e Vasile, attorno a cui ruota un campionario di varia umanità. E naturalmente la storia di lei, Valeria (o meglio Valerica), che fin da piccola si dimostra particolare, un po’ contestatrice solitaria che vuole incontrare Dio perché si sente a disagio in quel mondo piccolo e così diverso da come lo avrebbe voluto. Storia che tocca il suo apice allorché, dovendo svolgere a scuola il tema Il sapore della mia terra, la bambina legge davanti a tutta la classe il proprio componimento, nel quale – quasi a rappresentanza di tutto il villaggio e voce di chi non l’ha – esprime l’anima del suo popolo. Un presagio della futura scrittrice? Se è giusto chiedere agli stranieri di conoscere (per rispettarla) la nostra cultura, è altrettanto giusto che a noi italiani sia data questa stessa opportunità verso le culture che gli immigranti portano con sé. E il romanzo della Mocanas?u assolve egregiamente a questo compito per quanto riguarda i rumeni: lasciandoci il gusto dolceamaro di una terra diventata un po’ anche nostra, sembra volerci ricordare l’uguaglianza fondamentale degli uomini pur sotto cieli diversi. Signora Mocanas?u, lei vive e lavora attualmente in Italia. Cosa l’ha condotta qui? E la sua famiglia? In Romania avevo una situazione materiale accettabile e in una società divisa tra ricchi e poveri io sarei stata situata in mezzo. Nell’aprile 2000 sono diventata emigrante extracomunitaria clandestina in Italia, non tanto per cambiare il mio Paese con un altro più ricco, quanto per far succedere nella mia vita qualcosa di buono. Avevo 41 anni, e due figlie che crescevo senza nessun aiuto. Ho percorso a Torino la strada di ogni straniera arrivata senza punti di riferimento e sola al mondo. Dopo un anno e mezzo di lavoro ad assistere anziani ho incontrato un angelo salvatore italiano e ci siamo sposati nel gennaio 2002. Attualmente mi guadagno da vivere come colf e nel tempo libero coltivo le mie passioni. …come quella di scrivere, a quanto pare. Per quale scopo l’ha fatto? Il mio libro è il frutto della nostalgia. Nello stesso tempo, trovando un momento di respiro per guardare indietro, è un tentativo di fare chiarezza nella confusione della mia esistenza. Perché non mi sono sentita mai a mio agio in mezzo alla mia gente? . Quanto tempo ha impiegato e quali difficoltà ha incontrato durante la stesura? L’ho scritto in un anno. Per fortuna poi ho conosciuto una professoressa entusiasta (la signora Carla Elisa Ormezzano da Rapallo) che l’ha corretto e mi ha incoraggiata. Ho avuto qualche problema specialmente nel mettere le doppie lettere, difficoltà superate con l’aiuto e la pazienza del mio angelo custode di madre lingua italiana. Per una volta nella vita le cose mi sono andate bene. È un’opera prima, paragonabile un po’ alla nascita di un primo figlio. Quali emozioni ha suscitato in lei l’averla vista pubblicata? Certo, vedere la mia storia stampata con una veste gradevole è stata una grossa soddisfazione. Mi sono ricordata di un fatto singolare: nel momento in cui, bambina, posavo con mia sorella per la fotografia utilizzata poi per la copertina, nella mia mente ho visto esattamente l’immagine del libro. Abituata a tenere per me i pensieri strani, non l’ho detto a nessuno. Soltanto quando l’editore ha scelto quella foto tra tante altre, sono rimasta un po’ sconcertata.Mi succedono spesso cose del genere. Per quanto riguarda il primo figlio, credo di aver partorito un bambino perfetto, se lo stesso editore non ha avuto quasi nulla da modificare . Quali echi ha suscitato il romanzo nell’ambito delle persone a lei più vicine? Quando ho espresso la mia intenzione di scrivere e pubblicare un libro, alcune persone care si sono spaventate e offese. Per un bel po’ mi hanno preso in giro chiamandomi di nascosto la scrittrice. Altre mi hanno sorpreso con il loro entusiasmo e appoggio. Come la mia capufficio in Romania con cui ho lavorato quindici anni, venuta a Torino alla prima presentazione. In più ho avuto il sostegno costante di mio marito. Certo che essendo scritto in italiano i rumeni di casa non possono leggerlo. Quelli poi del mio villaggio arrivati in Italia hanno altro a cui badare… Se qualcuno di loro vorrà sfogliarlo lo farà magari per paura di trovare svelata al mondo chissà quale sua storia. Per la traduzione in lingua rumena penso di cambiare qualche nome, ma quando nel capitolo Ciorba di nozze (ciorba = secondo piatto tradizionale dopo l’aperitivo, n.d.r.) parlo di carne di cane, tutti sanno di che si tratta. Probabilmente dovrò assumermi dei rischi. In questi anni sarà ritornata qualche volta a Rodna. Quali sensazioni ha provato e quali i cambiamenti rispetto all’epoca dei fatti narrati? Sono ritornata due volte nel mio villaggio natale e forse perché mi sono abituata alle immagini grandiose di Torino o perché tante persone che conoscevo non ci sono più, mi è sembrato più triste che mai. Ho abbracciato tutta la gente della mia infanzia, ancora vivente: tutti poveri come sempre, a cui non basta la pensione per pagare i lavori della terra oltre le medicine. Soltanto le auto dei giovani scorrazzavano qua e là, sollevando grosse nuvole di polvere. Ho percorso le mie colline, ho guardato nella luce del tramonto la valle del fiume Moldova e il cimitero con le sue ghirlande di rose. I colombi che stavano sul mio tetto con i campanellini nel becco erano arrugginiti e la casa era vuota. Tra me e la mamma si era creata una distanza tale che non riuscivamo a dirci nulla; soltanto ci guardavamo. Ho localizzato tra le piante di mais il perimetro della casa di miei nonni e ho pianto vicino a un mucchietto di erba che mi ricordava il mio cortile e il mio gatto. Lei descrive una fetta di umanità nel bene e nel male. Ma sempre con uno sguardo d’amore… Tra me e la mia gente c’è stata una specie di incompatibilità di carattere. Questo libro è una dichiarazione pubblica di amore per la mia gente, una prova di comprensione. Mi dispiace che la mia energia, fantasia, coraggio, che mi spingevano avanti, non hanno fatto altro che insospettire e mettere in allarme i miei prossimi. Sono ancora convinta di essere nata in un posto e in un momento sbagliato. Intanto, là sarei stata soltanto una donna in un mondo di uomini. Volevo scoprire nuovi valori, mettere in discussione certe regole in un tempo in cui compito della donna, da sempre, era soltanto quello di procreare ed essere sottomessa. Proprio questa era la cosa che non potevo accettare. Il progresso di una società consiste non soltanto nel benessere materiale, ma anche nell’elevare a un rango superiore la dignità umana, nel promuovere il rispetto e quella libertà personale che non lascia alla mercè degli eventi né dei pregiudizi, anzi rende capaci di scegliere, ed essere artefici della propria vita. Pensa di continuare, dopo questa prima esperienza letteraria? Scrivere non è una meta in sé stessa, ma suppone aver qualcosa da dire. Continuerò a scrivere, forse, se i lettori apprezzeranno quello che scrivo. Quali sono i valori a cui lei tiene di più e per i quali ritiene che abbia senso vivere? Il solo valore per cui merita vivere è l’amore (non nella sua variante cieca). Quell’amore che punisce, rispetta, dà fiducia, si sacrifica, soffre e canta. Che innalza l’essere umano, re della terra, su un piedestallo d’oro.

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