Il sale nel caffè

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La piccola Patrizia, il signor Vittorio e la signora Lucia non si conoscono affatto. Eppure c’è qualcosa che li lega. Il fatto che, tutti e tre, sono terribilmente disordinati. Chi entra nella cameretta di Patrizia, se non vuole scivolare, deve fare lo slalom tra giocattoli, collanine, giornaletti e quant’altro è sparpagliato per terra. Il signor Vittorio, quando è in ufficio, seduto dietro la sua scrivania, nessuno lo vede perché è sempre nascosto da pile di libri, giornali, guide del telefono e sacchetti di patatine fritte. Quanto alla signora Lucia, la sua cucina sembra un campo di battaglia e il disordine che regna tra i suoi barattoli è tale che condisce spesso l’insalata con lo zucchero e mette il sale nel caffè.

Ogni persona disordinata, si sa, ha delle ottime ragioni per esserlo. Patrizia dice che fare ordine è una perdita di tempo, tanto il giorno dopo deve tirar fuori dall’armadio le stesse cose. Il signor Vittorio sostiene che di mettere in ordine non c’è proprio bisogno, tanto lui, sulla sua scrivania, trova sempre tutto (e quando qualcosa non si trova la colpa è della sua segretaria che ha riordinato l’ufficio). Secondo la signora Lucia, infine, mettere in ordine stanca troppo. So che il disordine è una malattia quasi incurabile, perciò io non pretendo di guarire nessuno. Vorrei solo raccontarvi cosa è capitato, un giorno, proprio alla signora Lucia.

 

Un caldo pomeriggio d’estate, dopo aver messo i piatti nella lavastoviglie, non avendo nient’altro da fare, la signora Lucia decise di andare a passeggio nel boschetto dietro casa sua, in cerca di un po’ di fresco. Veramente, qualcosa da fare ci sarebbe stato perché c’era una pila di piatti e di ricettari in bilico su un angolo del frigorifero, un paio di calzini da rammendare che penzolava fuori dal frullatore, alcune pentole appese all’attaccapanni e bottoni di ogni colore sparsi un po’ dappertutto, che sembravano segnare la strada a Pollicino. Ma, se mettere in ordine stanca, come sostiene la signora Lucia, figuriamoci cosa vuol dire mettere in ordine in un caldo pomeriggio estivo: meglio lasciar perdere! La signora Lucia prese dunque la sua bicicletta blu e si avviò in direzione del boschetto. Pedala, pedala a un certo punto si trovò davanti a una stradina tutta ricoperta di finissima ghiaia rosa.

«Oh bella! – esclamò –. Qui non c’è mai stata una strada e tanto meno rosa».

Ma siccome le piaceva l’avventura, diresse decisamente la bicicletta sulla stradina nuova. Pedalò a lungo tra file di prati appena rasati e casette rosa un po’ civettuole con fiori rosa alle finestre e bianche colombe sui tetti, finché arrivò davanti a una casa un po’ più grande delle altre, circondata da una siepe di rose rosa. Lì terminava la strada. Sul cancelletto basso, una piccola targa di legno recava scritto: Rosalinda. Il cancelletto era aperto e dalla casa proveniva il suono discreto di un flauto. Incuriosita, la signora Lucia, si avvicinò alla porta che era appena accostata. Dall’interno, una vocetta allegra disse subito: «Entra, cara, ti stavo aspettando!».

La signora Lucia entrò, un po’ intimidita, e si trovò davanti (c’era da aspettarselo!) una fata vestita di rosa.

«E così mi stavate aspettando!», disse, sorpresa e imbarazzata, la signora Lucia che non aveva molta dimestichezza con il mondo delle fate.

«Il frappé di fragola è la mia specialità», fu la risposta, poco pertinente, di fata Rosalinda la quale sparì immediatamente, per tornare poco dopo, con un bicchiere colmo di una fresca bibita rosa.

«Come si chiama questo villaggio rosa, spuntato come un fungo?», provò a chiedere ancora la signora Lucia.

«Voglio mostrarti alcuni bei centrini di pizzo», disse Rosalinda e sparì di nuovo.

Poiché tardava a tornare, la signora Lucia incominciò a guardarsi intorno. Sul tavolo della cucina, c’era un vaso di terracotta pieno di profumate rose rosa; sugli scaffali di legno chiaro erano allineate file di barattoli con le loro belle etichette, scritte con l’inchiostro rosa; sopra il caminetto, una serie di piccole pentole di rame era stata tirata a lucido.

«Non sembra certo casa mia!», osservò, tra sé, la signora Lucia.

Dalla scatola dei centrini che Rosalinda aveva finalmente portato, usciva un fresco profumo di lavanda. La fata insistette perché Lucia ne scegliesse tre. Ormai si era fatto tardi, ma prima di lasciare quella casetta fatata, la signora Lucia disse: «Cara fata Rosalinda, vorrei farle un’ultima domanda, ma questa volta spero proprio che mi risponda: perché lei è così ordinata?».

La fata sorrise e disse, scandendo bene le parole: «Perché, quando fai ordine e pulizia, nella tua casa o dentro al tuo cuore, un pezzettino di mondo migliora».

La signora Lucia ripercorse in bicicletta la stradina di ghiaia rosa. Arrivata in fondo, si voltò indietro per dare un ultimo saluto a fata Rosalinda, ma la stradina rosa era scomparsa con tutte le sue casette rosa e gli steccati fioriti.

Tornata a casa, lavorò instancabilmente, dimentica del tempo. Allineò file di barattoli, raccolse mucchi di bottoni, rammendò calzini, lucidò pentole, foderò i ricettari con una bella carta a fiori rosa e mise in bella mostra i centrini della fata. Solo lo squillo del telefono la interruppe. Una sua amica la chiamava preoccupata, perché l’aveva attesa invano tutto il pomeriggio, per prendere un gelato insieme.

«Ti aspettavo, cara, perché non sei venuta? Che cosa hai fatto?».

«Oh, io – disse sorridendo la signora Lucia – oggi ho migliorato un pochino il mondo!».

 

 

 

 

 

 

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