Il ritorno di Willy il pirata

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Qualcuno lo ricorderà alla guida di una band a mezza via tra la new-wave e il punk chiamata Mink De Ville. Era il 1977. Con quella sua faccia sbilenca, a mezza via tra quella d’uno zingaro e d’un pirata, Willy De Ville cominciava a farsi largo sul music-business statunitense con uno stile che già conteneva i prodromi di ciò che sarebbe diventato: uno dei cantautori più personali ed atipici della scena odierna. Da lì a poco, la svolta solista che avrebbe partorito piccoli capolavori come Miracle e Coupe de grace. Willy non ha mai avuto appeal e popolarità sufficiente per venir considerato un imprescindibile, ma ha fatto abbastanza per guadagnarsi un posto di tutto rispetto tra i song-writer di vaglia. Nel suo palmares può comunque vantare una nomination all’Oscar (col brano Storybook of love) e, qui da noi, dove può contare su un bel manipolo d’aficionados, la vittoria al Premio Tenco del 2006. De Ville è un newyorkese d’origine portoricana, cresciuto nei bassifondi del Lower East Side, ma innamorato di New Orleans e di quel pittoresco crogiuolo di suoni e culture che colà sempre si rimescola. Dopo quattro anni di silenzio, è riapparso con questo recentissimo Pistola (Eagle Rock – Edel), un bel disco realizzato con la supervisione del producer John P. Shenale (già al servizio di Tori Amos e di Robert Cray): dieci nuove canzoni che ben sintetizzano l’essenza della sua creatività. Dentro infatti convivono gli umori creoli e latini delle big band della Louisiana, il rustico country e il torrido blues del vecchio Sud, un paio di talking di sapore dylaniano e certe ballate sinuose che ben s’agganciano alla miglior ceppo della canzone d’autore statunitense. Con due brani su tutti: la struggente The band played on, un omaggio all’amata New Orleans sconvolta dall’uragano Katrina, e la morbida I remember the first time, un gioiellino così perfetto che già pare destinato a diventare uno dei suoi classici. Bentornato tra noi. CD Novità Steve Hackett Tribute (Edel) Lo storico e stagionato chitarrista dei Genesis si riaffaccia ai mercati con un album rigorosamente classico. Tredici frammenti per sola chitarra dove il nostro affronta con maestria meravigliose pagine di Bach, Granados, Byrd, Barrios e l’autografa The fountain suite. Come quasi tutti gli eroi del progressive anche Steve ha sufficiente preparazione e virtuosismo per uscirne vincente. Steve non è Segovia, ma chissà che i suoi trascorsi rockettari non siano credenziali sufficienti per far sì che qualcuno di questi capolavori possa infilarsi in un i-pod. Lino Volpe I passaggi obbligati (Ormacom) Chi ama la vera canzone d’autore italiana, sa bene che oggi le cose più interessanti e profonde raramente arrivano dalle grandi firme. L’ennesima conferma arriva da questo giovane napoletano ancora tutto da scoprire. Con questo ottimo debutto Lino dimostra d’aver sapienza di scrittura e un buon carisma interpretativo. Si muove con gusto e personalità tra pop d’autore e jazz-rock, raccontando le difficoltà del vivere con taglio ora poeticamente sociologico, ora appassionatamente intimo. Dieci belle canzoni da gustare e da meditare.

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