Il ritorno delle Muse

La ricerca del bello di Fiorella Fazio, restauratrice ad Ostia Antica.
Fiorella Fazio

In qualunque stagione ci capiti, Ostia Antica emana un fascino irresistibile. Anche oggi che il cielo è pressoché coperto e una blanda luminosità avvolge il paesaggio ancora addormentato in questo inizio di mattino. Gli alberi a foglie caduche sono spogli, ma tra le vie e i caseggiati di questa piccola Roma alle foci del Tevere trionfa il verde cupo dei pini marittimi, dei cipressi, dei lauri, di tutto un mondo vegetale che a volte soffoca le murature, le svelle, quando non le sostiene.

Lo sguardo si posa compiaciuto sui marmi candidi di colonne e statue mutile, sui laterizi accesi di rosso quando il sole riesce a farsi strada tra la nuvolaglia, sulle pratoline che prima del tempo, grazie al clima insolitamente mite, spuntano sugli spazi erbosi tra le tombe, tra i resti degli horrea e delle tabernae.

 

Ma oggi non sono venuto ad Ostia Antica per contemplare questo spettacolo così suggestivo: sono atteso al laboratorio di restauro, una costruzione moderna ai margini dell’area scavata. Lì – e sono storie già note – da un addetto alla manutenzione ascolto gli amari commenti ai tagli dei bilanci decisi dal ministero dei Beni culturali, tagli penalizzanti anche per questo straordinario sito archeologico. E intanto, ammiro una serie di bei sarcofagi scolpiti allineati sotto il porticato.

Il più bello però me lo illustrerà Fiorella, l’amica restauratrice “prestata” alla Soprintendenza archeologica di Roma dal prestigioso Opificio delle pietre dure di Firenze. Mi accoglie nel suo laboratorio, dove brani di affreschi staccati attendono di recuperare colori e lu-centezza, festosa com’è sua indole (è siciliana di Acate, in provincia di Ragusa). Nel vicino museo – vero scrigno di tesori – vuol mostrarmi in anteprima l’ultimo suo restauro, ora quasi compiuto: è il sarcofago detto “delle Muse” dalle sculture che ne ornano la fronte. Per recuperare il suo latteo splendore senza danneggiare la patina originale ce n’è voluto di tempo e fatica! «Pensa – mi spiega l’amica – che le concrezioni che ne alteravano la leggibilità erano più dure dello stesso marmo di cui è fatto. Dopo averle tentate tutte con i metodi tradizionali (agenti chimici e bisturi), si è rivelato oltremodo efficace il laser, una tecnica relativamente recente». Un lavoro che ha richiesto pazienza non comune e al quale una donna, per la sua capacità di dedizione e sacrificio, sem-bra particolarmente adatta.

 

«E pensare – continua Fiorella – che quando sono stata incaricata di questo restauro non ero granché entusiasta, avendo dovuto mettere da parte un lavoro già iniziato e a cui tenevo molto. Col tempo però è nato un rapporto empatico con l’oggetto, e man mano che l’opera emergeva in tutta la sua bellezza, l’ho sentita parte di me».

Sì, la bellezza ha affascinato Fiorella da sempre. «Non ritenendomi sufficientemente dotata di un talento artistico, ho trovato quest’altra via per realizzare la mia ricerca del bello, che è poi tensione verso Dio. Attraverso questo lavoro non appariscente, puramente di servizio, che mette in luce l’opera altrui, io sento di entrare in contatto con la mente e l’anima dell’autore».

 

Fiorella ricorda con gratitudine certi anziani restauratori formatisi sul campo senza studi specifici, ma «capaci di chiedere a loro volta consiglio a me: come Filippo Famularo, un restauratore che adesso non c’è più. Lo caratterizzava un abisso di umiltà. Oggi, dopo tanti anni, dalla sua esperienza avrei ancora da imparare».

 

Della sua professione, che richiede una completezza di conoscenze tecniche, scientifiche, ma anche umanistiche, l’amica parla con entusiasmo. È una professione, tra l’altro, che sta evolvendo, dotandosi di nuove specializzazioni, anche se restano di base l’abilità manuale e l’esperienza del contatto diretto con i materiali.

 

«Ad appassionarmi è proprio questo contatto con la materia – prosegue –, si tratti di materiali lapidei nei quali sono specializzata, ma anche fittili, di opere musive o in bronzo, osso, ecc. L’impegno? Cerco di mettercela tutta, non importa se mi viene affidato un umile manufatto o un esemplare pregiato. È la linea a cui ho cercato sempre di attenermi, dal mio primo restauro – ricomporre da numerosi frammenti un’anfora più alta di me – all’ultimo: questo sarcofago delle Muse di altissi-ma qualità».

 

Salutato il corteo di queste divinità delle arti e delle scienze, ci trasferiamo all’esterno presso una esposizione di marmi d’ogni tipo provenienti dalle cave di tutto il Mediterraneo per essere utilizzati nelle ricche dimore, nei templi e negli edifici pubblici della Roma imperiale. Sono blocchi enormi, informi, tra cui fusti di colonne appena sbozzate. Una patina uniforme, dovuta all’esposizione agli agenti atmosferici, li rende irriconoscibili: eppure basterebbe un saggio di pulitura in qualcuno per ammirare le diverse colorazioni del pavonazzetto, del cipollino, del portasanta, dell’alabastro cotognino, del granito e di decine di altri preziosi marmi.

«Io sono affascinata dai marmi – spiega Fiorella –, specialmente dai più duri come il porfido rosso e il serpentino verde, difficilissimi da lavorare, ma al tempo stesso facili da restaurare perché quasi inalterabili».

 

L’ultima cosa che riporto dall’amica è una sua spontanea confidenza: «Anche in una professione come la mia i limiti umani propri e altrui entrano sempre in gioco. Però sono grata anche per certi momenti particolarmente duri: sono serviti a distaccarmi dal mio lavoro, a considerarlo sempre e solo un servizio, al di là di ogni possibile gratificazione».

Mi viene in mente un bellissimo racconto di Jan Dobraczinski, la vicenda di un antico restauratore della celebre icona della Madonna di Czestochowa, ridotta in uno stato pietoso dalle ingiurie del tempo e dell’uomo. Nel tentativo (riuscito) di ridare un volto leggibile alla Vergine, l’uomo aveva consumato anni e forze in un percorso quasi ascetico, rimanendone lui stesso rigenerato: la sua immagine di figlio di Dio ne era uscita “restaurata”.

Mi sembra un pensiero beneaugurante anche per Fiorella.

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