Il rischio della solidarietà

Il ministro della Giustizia Paola Severino lancia una "piccola idea": coinvolgere i detenuti non pericolosi e già in regime di semilibertà per ricostruire le zone terremotate dell'Emilia
Paola Severino

A volte le idee sono sassi che hanno il pregio di smuovere le acque. Di questo tipo è stata la proposta lanciata dal guardasigilli Paola Severino: impiegare una parte dei detenuti per la ricostruzione dell’Emilia colpita dal terremoto. «In un momento come questo, che richiede interventi tempestivi – ha spiegato il ministro –, penso che si potrebbe vedere anche parte della popolazione carceraria protagonista di un’esemplare ripresa».

Un’eco intonata, ma sicuramente non cercata, sono state le parole del cardinale Angelo Bagnasco nell’omelia pronunciata durante la messa celebrata nella cattedrale San Lorenzo per i terremotati dell’Emilia Romagna: «Tutti abbiamo bisogno di tutti: nessuno, in nessun momento, basta a sé stesso. Dobbiamo forse aspettare l’urto della tragedia, della sofferenza e forse della morte, perché la società sia richiamata crudamente a questa elementare verità, che una certa cultura tende a far dimenticare o a tacere?».
 
Per questo – ha sottolineato il porporato – dobbiamo guardarci dalla presunzione e diventare tutti più umili, cioè più veri e saggi di fronte all’umana esistenza, che riserva a ciascuno quel misto di luci e ombre che ci chiedono di non vivere soli, ma insieme, accanto gli uni agli altri nella famiglia, nella comunità cristiana, nella società civile».

Quindi pare proprio pertinente l’idea lanciata a Bologna dal ministro della Giustizia. L’iniziativa riguarderebbe i detenuti «non pericolosi e già in regime di semilibertà». Il guardasigilli ha spiegato, durante la sua visita al carcere della Dozza a Bologna, che si tratta di una piccola idea di cui si deve ancora discutere con i direttori e i provveditori. «Vorrei che fossero coinvolte – ha detto – tutte le carceri della regione e se fosse possibile non solo». Questo raggiungerebbe il doppio obiettivo di far sentire utile la popolazione carceraria e di farla apparire tale anche alle persone colpite dal terremoto. «Ho sempre pensato che il lavoro carcerario fosse una risorsa per il detenuto, un vero modo per portarlo alla risocializzazione e al reinserimento nella società».
 
A volte la fraternità, la solidarietà, hanno dei rischi che se affrontati danno risultati più ampi del previsto. Del resto quanto affermato dal ministro rientra perfettamente nell’idea che l’essenza del trattamento penitenziario altro non sia che rieducare i soggetti che hanno commesso reati, restituendoli alla società emendati del carattere di devianza, nella prospettiva della reintegrazione sociale, anche se oggi, per le condizioni delle carceri italiane e per un certo sottile preconcetto sociale, è solo un’auspicabile speranza.
 
Siccome la speranza è un elemento forte della difficile situazione emiliana, auguriamo al ministro Severino di portare a termine la sua “piccola idea” più consoni e adatti per tutti.
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