Il ratto dal serraglio

L'opera di Mozart  in scena al Teatro dell'Opera di Roma con la regia di Graham Vick 
ratto dal serraglio

«Troppe note», sentenziò l’imperatore Giuseppe II a Mozart dopo aver sentito il Ratto, a Vienna, nel 1782. E Amadeus, impertinente: «Quelle giuste, Maestà». Aveva ragione il musicista. Perché i tre atti della turcheria, stile di moda nel periodo barocco, durerà fino al 1813 con L’Italiana in Algeri di Rossini, che testimonia l’influenza turca nel teatro e nella musica europea, è un fiume di ritmi indiavolati, tenerezze fra innamorati, melodie fresche come la giovinezza che a Mozart, a 26 anni, sgorga senza fatica.

 

Il Singspiel – recitativi parlati e arie e duetti musicati, secondo lo stile tedesco – è un inno alla vita e all’amore. La trama è esile: Costanza è prigioniera del Pascià, che però la rispetta. Con l’aiuto del servo Perillo e dell’amato Belmonte, nonostante le insidie del pazzo Selim, tenta la fuga. Scoperti, tutti sono graziati dal misericordioso Pascià. Un Islam tollerante, come lo sogna l’Illuminismo che esige nei drammi il lieto fine e il trionfo della giustizia.

 

A Roma l’opera mozartiana mancava da decenni. Perciò l’allestimento – scene e costumi di Richard Hudson, regia di Graham Vick- è nuovo: un cubo candido sul palcoscenico, si apre e si chiude secondo le scene, trasformandosi in giardino, in interno, in cielo stellato. Molto bello, luminoso. Regia sciolta, ricca di verve, attenta alla musica. Il cast è giovane e vivace, come si addice all’opera: brillano il tenore Charles Castronovo e il soprano Maria Grazia Schiavo, in una parte impervia, che anticipa le piroette astrali della Regina della notte nel Flauto magico. Gabriele Ferro dirige, felice, una musica che sprizza voglia di libertà da tutti i pori. L’orchestra sta, quasi sempre – c’è qualche problema di sonorità- al gioco, ma il pubblico è soddisfatto da una commedia piena di gioia di vivere, che non scivola mai nella farsa.

Mozart è sempre elegante e misurato.

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