«Scusate se sono stato un po’ lungo», è una frase che ormai si dice quasi per abitudine, specialmente nei messaggi WhatsApp.
Io lo confesso, non ho il dono della sintesi. Ma forse non è solo colpa mia. Forse è che non c’è più spazio per l’ascolto. E poi… come si fa a sintetizzare un cuore che esplode, una vibrazione dell’anima, il dolore dell’abbandono? Come si fa a ridurre tutto questo a poche righe, a un vocale di trenta secondi?
Mi chiedo, allora: anche il mio rapporto con Gesù deve diventare social? Con notifiche, messaggi brevi, risposte veloci e magari qualche emoji a far da sfondo alla preghiera?
E se lui fosse venuto oggi? Ci sarebbero ancora le folle ad ascoltarlo? O avremmo preteso anche da lui la sintesi, il rispetto del tempo, l’efficacia comunicativa? Avrebbe dovuto prima fissare un calendario con gli Apostoli? E la Passione? Me la riesco a immaginare soltanto in un post sponsorizzato o in una storia da 15 secondi?
E allora, quando ti vedrò, mio Dio, che cosa ti dirò? «Scusami… avrei tanto da dirti, ma non voglio rubarti tempo»?
Io non ci riesco! Ho l’esigenza di sentire, di percepire il battito vitale del cuore di chi incontro, tutte le volte che se ne presenta l’occasione. E tante esperienze vissute me lo confermano.
L’altro giorno, verso l’ora di pranzo, con mia moglie rientravamo da una passeggiata, quando, attraversando un ponticello, abbiamo incrociato un uomo, con lo sguardo perso verso l’infinito, che si godeva il mare. Ci siamo scambiati un sorriso. In cinque minuti ci ha raccontato la sua tristezza: è lontano dalla moglie e dai figli, rimasti in Romania.
Lo abbiamo ascoltato con amore sincero, in silenzio. Alla fine ci ha detto: «Grazie di questo momento prezioso che mi avete regalato». Come a dire: grazie della dimenticanza del tempo!
Franco Leone