Il Ramadan visto da chi non lo fa

L’esperienza di quattro amiche in vacanza in Sardegna, l'incontro con due venditori ambulanti musulmani, al lavoro nonostante le difficoltà del digiuno
Il giorno del Ramadan

Abu, senegalese, e Abdu, marocchino, lavorano come venditori ambulanti sulle spiagge della Sardegna.

 

«Stai facendo il Ramadan?» chiedo ad Abu dopo aver rifiutato una bellissima camicetta di lino blu anche se mi piace tantissimo. «Sì – risponde – tra poco vado sotto gli alberi fino alle 5».

 

Anche le mie amiche adocchiano le sue camicette. Sono tutte belle. Proviamo a spiegare di non aver portato soldi in spiaggia con noi, ma tant’è: i nostri sguardi sono rivelatori. Siamo a Cala Cipolla (nella foto), una delle calette più incantevoli della costa sud-ovest della Sardegna. Il vento è frizzantino, il mare attraversato da correnti, c’è poca gente, i colori sono vividissimi, accecanti. Abu è stanco, spossato dalla sete, sono quasi le ore 15, ma la sua verve di venditore non perde colpi e insiste: «Provatele!». Ridiamo: «Ti sei accorto che ci piacciono, vero? Quanto costano?». Il prezzo è buono ed è vero cotone, vero lino. Cominciano le danze. Per un buona mezz’ora misuriamo camicette. E alla fine ne acquistiamo alcune che Abu conservava da parte, nel suo sacco. Ci diamo appuntamento al parcheggio due ore dopo per pagarlo e lo salutiamo. La sua gioia è evidente.

 

Una magnifica nuotata in un mare cristallino, dopo una breve escursione sulle rocce circostanti, ci fa quasi dimenticare di Abu. Sorride, al parcheggio, quando ci vede. Forse non si aspettava che fossimo di parola. Rimane in disparte mentre prendiamo il borsellino. Tra noi commentiamo: «Hai visto che discrezione?».

 

Rimango indietro per chiudere l’auto prima di tornare ai nostri ombrelloni e vedo che saluta le mie amiche, ma non si muove. Quando gli passo davanti, Abu sorride, mi saluta e riparte con le sue camicette in spalla, in braccio al vento, alla sabbia e alle persone.

 

Abdu, senegalese, una “d” di differenza nel nome, ha un taglio di capelli all’occidentale, rasato ai lati, con ricci morbidi al centro. È bello Abdu e bellissimo è il suo sorriso che splende in una Porto Pino spazzata da un maestrale vigoroso. Ed è affaticato. «Stai facendo il Ramadan?», gli chiedo. «Chi ti ha detto, signora?» – si stupisce Abdu. Con noncuranza, sposta le sue belle camicie da una mano all’altra. I nostri sguardi seguono le sue mani. «Ieri ad un tuo amico abbiamo comprato 4 camicie». «Anche oggi, allora», sorride imperturbabile Abdu, il più piccolo di 7 fratelli ancora in Marocco.

 

«Io non sono di Casablanca – ci racconta –. Quella è una città per ricchi. Io vivo in campagna, come qui. Pochi turisti quest’anno. Sempre le stesse facce da maggio, solo persone del posto. Si lavora poco. Un po’ meglio in Costa Rei». Tocca il tasto giusto. Anche a noi piace moltissimo Costa Rei. Ma non perde tempo in chiacchere, Abdu. Il suo pareo piace davvero tanto alla mia amica sarda che gli dice: «I miei fratelli sono come te». La osservo ed è vero. Il colore della sua pelle ambrata, i capelli scuri, il sorriso smagliante. Sembra davvero sua sorella. Il prezzo del pareo scende fino al totale del nostro borsellino: 6 euro.

 

«Mi siete simpatiche, dice. «Siete ammirevoli nel vivere il Ramadan, resistendo sotto il sole senza mangiare né bere», ribattiamo noi. «Soprattutto a non bere» – incalza. Ci stringe la mano, cominciando dalla sua quasi-sorella sarda e arrivando poi a ciascuna di noi con un arrivederci in Costa Rei. Si allontana dondolandosi sotto il peso della merce. In lontananza, le magnifiche dune che ricordano il deserto. Solo pochi chilometri di mare a sud. E qui, Abdu, un nuovo amico, anzi, un nuovo fratello.

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