Il primato delle regole

Una vera novità ha fatto il suo ingresso al Palazzo di Vetro, lo scorso 24 settembre, in apertura della 67ª sessione dell’Assemblea generale dell’Onu.
Assemblea generale dell'Onu del 25 settembre scorso

Sembrava quasi che i governi e le organizzazioni internazionali si fossero dimenticate del tempo che scorre. E invece una vera novità ha fatto il suo ingresso al Palazzo di Vetro, lo scorso 24 settembre, in apertura della 67ª sessione dell’Assemblea generale dell’Onu. I nostri Stati, rappresentati da capi di governo e ministri, hanno deciso di confrontarsi sul tema dello stato di diritto (rule of law), e cioè sulle regole e la necessità di rispettarle. È stata la prima volta dal lontano 1945, quando la conferenza, che a San Francisco istituì le Nazioni Unite, decise che solo regole condivise potevano garantire la pace, la sicurezza, lo sviluppo, il rispetto della dignità della persona e dei suoi diritti. La sintesi è l’articolo 2 della Carta dell’Onu che stabilisce la preminenza delle regole sulle barbarie. Oggi, come allora, l’idea è di riproporre nei rapporti internazionali il meccanismo di ogni altra comunità: avere regole certe e rispettarle.
 
Se le regole sono violate, tutto è compromesso. Lo dice la nostra esperienza nel piccolo o grande mondo dove quotidianamente operiamo, quando ci ripetiamo che violare le regole significa danneggiare tutti e tutto. Anzi, siamo coscienti che chi non le rispetta, se non richiamato, ritiene di essere nel giusto e prosegue. Nel piccolo la chiamiamo illegalità, a livello internazionale legge del più forte. I nostri Stati sembrano ora disposti a rifletterci. Si sono accorti (o forse noi ci siamo accorti?) che, se le regole sono rispettate, è più facile vivere insieme e i benefici sono per tutti. E magari l’Onu può veramente diventare la famiglia dei popoli, uno strumento a servizio delle esigenze e delle soluzioni comuni.
Ma la tecnica giuridica non basta. C’è un altro sforzo da compiere: capire che la premessa di ogni regola non è solo il rispetto, ma la condivisione dell’altro, della sua identità, delle sue esigenze, delle sue aspirazioni. Sia esso una persona, un popolo o uno Stato. Utopia? Certezza, se pensiamo che solo così noi e il nostro prossimo – il vicino, il collega, gli altri popoli, gli altri Stati – possiamo realizzare l’unica idea di pace. Si tratta di un metodo da scrivere sulla prima pagina dei codici della diplomazia.

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