Il nostro orizzonte

Interdipendenza e fraternità sono due fasi del cammino dell’umanità verso la sua completa riconciliazione. Come scrisse Giovanni Paolo II in occasione della Giornata mondiale della pace del 2001, proprio la presente situazione di interdipendenza planetaria aiuta a meglio percepire la comunanza di destino dell’intera famiglia umana. Su questi presupposti, vorrei ora offrire qualche idea sulle ragioni, umane e soprannaturali, che sostengono la nostra esperienza. 60 anni fa, eravamo poche ragazze, ma è ancora chiarissima dentro di me una delle prime intuizioni: in piena seconda guerra mondiale, sotto un furioso bombardamento, in una cantina, alla luce fioca di una candela, abbiamo trovato nel Vangelo, unico riferimento delle nostre vite, il Testamento di Gesù che proponeva l’unità universale: Che tutti siano uno. Capimmo che per quella pagina era sorto il movimento. Quel tutti sarebbe stato il nostro orizzonte: l’unità, la ragione della nostra vita. Far nostro quel sogno di Dio ci legò al Cielo e nello stesso tempo ci immerse fortemente dentro la storia dell’umanità, per farne emergere il cammino verso la fraternità universale. Nei giorni della guerra, la più lacerante delle divisioni, abbiamo scelto paradossalmente la forma più alta di interdipendenza: l’unità. La possibilità di realizzare questo ideale affondava le sue ragioni in quella che ci apparve come un’autentica scoperta: Dio è Amore! Un Amore che abbraccia tutte le epoche e rende fratelli tutti gli uomini e che si è tradotto subito per noi in amore reciproco, generando un’esperienza comunitaria profonda. Quello stesso Amore ci spinse a cercare anzitutto i più poveri, per risolvere – come allora dicevamo – il problema sociale della nostra piccola città,Trento. Questo nuovo sguardo inclusivo sulla città si rivelò subito contagioso. Dopo pochi mesi eravamo, infatti, 500 persone, di ogni età, categoria professionale e condizione sociale. L’unità è dunque il segno specifico della fisionomia del Movimento dei focolari al suo interno, ma è anche una vocazione, una chiamata per tutti gli uomini di buona volontà. Negli anni, sono venuti in luce alcuni ambiti specifici di dialogo e di condivisione. Ci siamo trovati a costruire luoghi ed occasioni di incontro all’interno delle chiese a cui apparteniamo, perché ci sia sempre di più comunione; e poi, un’esperienza di popolo unito tra i cristiani di diverse denominazioni, che anticipa, nella condivisione dei doni specifici di ciascuna chiesa, l’unità dottrinale. Ma in particolare c’è una frontiera in cui ci sentiamo chiamati ad operare ancor più, dopo l’11 settembre, sfida che peraltro abbiamo iniziato ad affrontare da più di vent’anni: è il dialogo con i fedeli delle grandi religioni. Puntiamo a vivere anzitutto, dall’una e dall’altra parte, in un dialogo della vita, rispettoso e fecondo, premessa alla pace, la cosiddetta regola d’oro: Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te, che significa: ama gli altri. Norma presente, con diverse sfumature, in tutte le grandi tradizioni religiose. Infine, da sempre, ci siamo ritrovati insieme, in una fattiva collaborazione, con quanti non hanno un preciso riferimento religioso; ci unisce l’amore all’uomo ed ai suoi valori. (…) Nella mia vita ho potuto conoscere innumerevoli persone, gruppi, popoli: sempre ho sperimentato che la tensione all’unità è un’aspirazione insopprimibile che pulsa nel cuore di ogni uomo, di ogni gruppo sociale, di ogni popolo. Ho imparato a scorgere i passi in avanti che segnano il progredire dell’umanità, fino a poter affermare che la sua storia altro non è che un lento, ma inarrestabile cammino verso la fraternità universale. (…). Dopo millenni di storia in cui si sono sperimentati i frutti della violenza e dell’odio, abbiamo tutto il diritto oggi di chiedere che l’umanità cominci a sperimentare quali potranno essere i frutti dell’amore. E non solo dell’amore fra i singoli, ma anche fra i popoli.

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