Il no della Chiesa ai rifiuti tossici

Dicono no ai veleni che li stanno uccidendo: sono i volontari che sorvegliano il territorio tra Napoli e Caserta, raccolti intorno alla parroccchia di san Paolo, a Caivano, zona di spaccio e di speranza. Intervista al parroco Maurizio Patriciello
padre maurizio patriciello

«Quanto sta avvenendo in Campania non è un problema locale, ma un dramma umanitario che riguarda un milione e mezzo di persone che risiedono nei comuni compresi tra Napoli nord e Caserta sud. Tutti devono sapere che una parte d’Italia sta soffrendo in modo indicibile: hanno reso l’aria irrespirabile, hanno insozzato il terreno, hanno oscurato il cielo, sempre nuvoloso per il fumo che si sprigiona dai roghi appiccati ovunque. Anche le stelle non brillano più. Qui si muore di malattie tremende: se non fossi un sacerdote, dunque un uomo di speranza, direi che ci sarebbe davvero da piangere». Maurizo Patriciello è il parroco della chiesa di san Paolo Apostolo, nel parco verde di Caivano, un comune dell’area nord di Napoli. Cronisti e forze dell’ordine conoscono bene questo quartiere: è la base di spaccio del territorio, un fortino del malaffare. Eppure, è proprio da quest’area degradata della periferia partenopea che è partita la riscossa della società civile per dire basta alla criminalità organizzata che lucra sui reati ambientali, ma anche ai piccoli imprenditori e ai cittadini disonesti, che depositano scarti della lavorazione, rifiuti speciali e fusti tossici nelle campagne e poi li incendiano.

Il sacerdote anti-inquinamento, «chiamatemi padre Maurizio, perché da queste parti il don si da ai camorristi», conosce bene il territorio: è nato da queste parti e in queste terre svolge la sua azione pastorale. Dopo denunce e segnalazioni andate a vuoto, insieme a un nutrito gruppo di volontari, ha deciso di intervenire in prima persona. E così, qualche giorno fa, seguendo l’ennesima colonna di fumo nero, hanno scoperto una vecchia casa posta sotto sequestro dalla magistratura, che è stata riaperta abusivamente e trasformata in una fonderia per la separazione del rame dalla plastica. Rame, ovviamente, rubato, che poi viene rivenduto e acquistato a caro prezzo.
 
Padre Maurizio, cosa sta succedendo?
«Dati certi non ce ne sono, perché il registro tumori è stato istituito solo a giugno e le prime informazioni saranno disponibili solo tra tre anni. Tuttavia, medici e sacerdoti denunciano da anni che nei nostri paesi i morti di tumore sono tantissimi. Andate al Santobono a vedere quanti sono i bambini ricoverati nel reparto oncologico  o chiedete ai preti di chi sono i funerali che celebrano. Sul nostro territorio i roghi sono aumentati di numero e dimensioni. Dico roghi, ma in realtà è soprattutto fumo, denso e acre, che fa malissimo. Abbiamo presentato denunce, io stesso ho scritto al Tribunale per i diritti dell’uomo per mettere fine a questo scempio, ma nessuno è intervenuto. Allora i comitati sorti spontaneamente per protestare contro l’inquinamento si sono riuniti intorno alla nostra parrocchia: abbiamo cominciato a fare dei sopralluoghi, mentre i più giovani hanno fatto foto che hanno poi messo su Facebook e girato video che hanno inserito su Youtube».
 
Cosa avete scoperto?
«Qualche giorno fa seguendo una colonna di fumo siamo arrivati ad un campo rom a ridosso tra Caivano e Afragola. Mentre parlavamo con loro, da una villetta a ridosso delle baracche è uscito del fumo. Ho chiesto spiegazioni, hanno risposto che era immondizia. Abbiamo provato a spiegare che è nocivo, che quel fumo fa male innanzi tutto a loro e ai loro figli, ma non ci ascoltavano. Insieme ad altri amici siamo andati a controllare e abbiamo trovato uno scenario apocalittico: la casa era stata trasformata in una grande fornace. Sono stati praticati dei buchi nel soffitto dai quali esce il fumo, mentre negli scantinati era stato appiccato il fuoco. Tutto intorno c’erano tantissime guaine di plastica enormi, di quelle che racchiudono i cavi di rame. Poi ho saputo che se si rivende il rame senza le guaine di plastica si guadagna molto di più. Inoltre, si riducono i rischi perché si elimina la tracciabilità di quei materiali, che solitamente vengono rubati. Chi ha appiccato il fuoco? Perché nessuno interviene? Abbiamo chiamato mille volte i vigili del fuoco, di Caivano, Casoria, Afragola, perché era un rogo enorme, finché alla fine qualcuno è arrivato».
 
Ma la popolazione non reagisce?
«La gente si ribella, ma non trova interlocutori. I sindaci non intervengono, la Regione neppure. Le persone semplici pensano che le autorità interverranno, ma non è così. La burocrazia è farraginosa e neanche i media si occupavano di noi finché il quotidiano Avvenire ha cominciato a pubblicare, tutti i giorni, articoli sulle nostre terre martoriate. L’unico che ci ha ascoltati è stato il prefetto di Napoli. Ora vogliamo denunciare i sindaci che non intervengono, e sono decine: ebbene, in pochi giorni, abbiamo raccolto migliaia di firme. Per fortuna, ci stanno vicini tanti parroci e anche il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, che è vicepresidente della Cei per l’Italia meridionale. Abbiamo scritto anche al papa, perché quando si è disperati, ci si rivolge a tutti. Noi vogliamo che questa maledizione abbia fine. Poi che si facciano le bonifiche, che vengano assegnate le responsabilità, che arrivino i fondi. Ma adesso bisogna spegnere tutti i roghi tossici che ci stanno avvelenando».

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