Il moralista: la fiducia tradita

La pederastia pregiudica in modo inimmaginabile lo sviluppo umano integrale e sereno della vittima
Bambino piange

Una questione scabrosa sta nuovamente inquietando l’opinione pubblica nelle ultime settimane: la pedofilia, diventata un tema particolarmente allarmante a causa del coinvolgimento scandaloso di ministri cattolici, esploso come problema già 20 anni fa. Negli ultimi giorni se ne sta parlando ancor di più in relazione alla recente lettera pastorale del papa Benedetto XVI rivolta ai cattolici irlandesi, dai contenuti importanti per ogni ambiente cattolico, toccato da questa dolorosissima piaga.

 

Vi è una fioritura amara di interventi di varia natura sul tema, dai più immediati e confusionali (caccia al pedofilo) ai più calmi e prudenziali (ricerca della soluzione). Conviene invece abbandonare l’agitazione per comprendere meglio il problema e per attivare il più grande numero di empatie umane. Tali empatie servono in primo luogo alle vittime, ma anche alle categorie che, pur svalutate a causa di alcuni suoi rappresentanti, devono continuare a svolgere i ruoli socialmente indispensabili per la crescita di ogni generazione (insegnati, educatori, ministri di culto, medici, accompagnatori, ecc.).

 

Il pedofilo vero è un soggetto umano piuttosto raro. La maggior parte dei casi può essere infatti ricondotta alle varianti di atteggiamenti dove le dinamiche malsane sono dettate dalle tendenze predatorie del maschio aggressore, marcate dalla sua forza sessuale fortemente compulsiva. La pedofilia nel senso stretto invece deve essere trattata come una malattia di tipo prevalentemente mentale. Il sesso gioca un ruolo qui, ma viene strumentalizzato da un bisogno patologico di esercitare dominio maschile, vissuto in maniera disintegrata e ossessiva da parte dell’aggressore, nonostante il frequente mascheramento dietro delicatezza e sensibilità maggiori.

 

Posto così, il problema del pedofilo non si radicherebbe tanto nella sua sessualità fisica, quanto nella sua mente. Come società, rimaniamo ancora disarmati davanti ad una simile diagnosi, fornita dalla scienza. Tale morbosità si presenta ai vari professionisti come inguaribile nella stragrande maggioranza dei casi. Mentre ci si potrebbe sperare di correggere qualcosa sulla base della recente decifrazione del genoma (aspetti fisico-biologici), se la questione è prevalentemente mentale, la prospettiva della guarigione si configura in modo seriamente imprevedibile.

 

La valutazione morale è molto complessa e dipende dal modo con cui si definisce eticamente la condizione dell’agente morale implicato in questo comportamento pernicioso. Nel caso di preti pedofili, le autorità ecclesiastiche hanno elaborato una serie di procedure penali e di protocolli di recupero delle vittime. Essi partono dalla valutazione perentoria da sempre presente nella morale cattolica: la pederastia attiva costituisce una gravissima offesa delle leggi divine e umane. Perciò la si definisce come peccato criminoso particolarmente aggravato e punibile dalle autorità competenti, ecclesiastiche e civili.

 

Dal punto di vista del perpetrante, se dovesse (o potesse) essere in pieno possesso delle sue facoltà umane, cioè della piena libertà e autoconsapevolezza “normale” dell’agire, tale comportamento cadrebbe sotto la categoria del peccato formale grave e ne porterebbe tutte le conseguenze. Nel caso si trattasse davvero di una deficienza psichico-mentale insuperabile, avremmo a che fare con l’incapacità soggettiva reale di cogliere la gravità del reato, accompagnata dall’assenza di rimorsi, aggravata dalla perversione di valori, cioè dalla falsa percezione del bene al posto del male come presente in questo agire ripugnante. In tal caso la valutazione morale poggia primariamente sull’aspetto materiale dell’atto e rimarrà comunque estremamente grave.

 

L’offesa materiale, cioè il male inflitto alla vittima, è di proporzioni oggettivamente obbrobriose. Ciò impone la necessità di procedure e di legislazioni atte a definire l’inammissibilità di simili soggetti negli ambienti di prossimità delle potenziali vittime (scuole, collegi, associazioni di vario tipo). L’oggettività del crimine rimane quindi indiscussa. È un abuso del bene di proporzioni spaventose. Gli effetti dannosi, inflitti dagli atti pedofili alle vittime indifese, situano queste tendenze tenebrose dei maschi adulti nella zona di chiaro antivalore umano, altamente nocivo.

 

Oltre a qualificare il pedofilo come soggetto pericoloso, pregiudicano in modo inimmaginabile lo sviluppo umano integrale e sereno di chi, innocente, fiducioso e piccolo ancora, apre le braccia verso la figura che rappresenta un valore altissimo, quello di paternità. Tale valore nobile, mentre nella normalità comunica amore, ispira fiducia e offre protezione, qui viene a tradire in un modo spesso irrecuperabile ciò che ci fa diventare umani maturi: la capacità di fidarci e di dare fiducia.

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