Il mio cervello ed io

Saremo liberi e responsabili o schiavi dei nostri impulsi e tendenze? Un comune destino di fragilità e ricchezza.

Guardalo, ha proprio una faccia da criminale!. Capita di sentire affermazioni di questo tipo. La tentazione di dedurre le inclinazioni morali di un individuo dalle sue caratteristiche fisiche c’è sempre stata: nell’Ottocento un’apposita teoria scientifica, la fisiognomica, indagava quali fossero i tipici tratti somatici del delinquente e, più modestamente, spiegava anche come individuare la ruga del cretino. Nel film Minority report, con Tom Cruise, una speciale polizia è in grado di sapere quali delitti verranno commessi dalle persone, e può quindi catturare in anticipo i futuri assassini. In pratica, per la fisiognomica e i film di questo tipo, l’uomo non è veramente libero nelle sue decisioni; i criminali in particolare sarebbero inesorabilmente schiavi delle proprie pulsioni e tendenze, e quindi andrebbero isolati anche se non hanno ancora commesso reati. Nel secolo scorso queste teorie sono andate man mano perdendo consensi, finendo quasi nel ridicolo, ma recentemente il dibattito si è riacceso in modo virulento. La colpa è delle nipotine di tac, risonanza magnetica ed elettroencefalogramma. Tutti conoscono questi utilissimi esami clinici, diventati ormai di routine, che cercano di vedere dentro il nostro corpo, aiutando i medici a diagnosticare eventuali malattie o lesioni interne. Negli ultimi anni sono state sviluppate molte altre tecniche di visualizzazione, in particolare del cervello: meg, pet, spect, nirs, tms, mrs… Grazie ad esse i ricercatori sono ora in grado di vedere il cervello in azione, cioè quali aree si attivano mentre risolviamo un proble- ma matematico o preghiamo o facciamo ginnastica o cuciniamo o ci arrabbiamo o dormiamo… Questi studi hanno fornito risultati parzialmente inattesi, soprattutto in un campo che fa tremare le vene per delicatezza e complessità: il comportamento morale, cioè la libertà di decidere cosa è giusto e sbagliato, il bene o il male, con la responsabilità conseguente. In primo piano sembrano intervenire soprattutto le emozioni: esse influenzano le nostre reazioni nelle varie situazioni quotidiane, aiutandoci a prendere decisioni. In pratica colorano il mondo intorno a noi, attribuendo significato, importanza e caratterizzazione – positiva o negativa – a persone, cose ed avvenimenti, in funzione delle esperienze belle o brutte che abbiamo fatto in passato. Le reazioni emotive sono intense, veloci, spontanee ed automatiche, arrivano cioè prima che la nostra riflessione cosciente prenda il controllo della situazione. L’altra grande scoperta sono i neuroni specchio: grazie ad essi siamo naturalmente capaci e predisposti a metterci nei panni degli altri, capire cosa essi sentano o soffrano o pensino. Se vedo una persona piangere, automaticamente si attivano nel mio cervello i neuroni che utilizzerei se piangessi anch’io, anche se in effetti non mi scende una lacrima. Quella che di solito si chiama empatia sembra quindi avere una precisa base biologica in questi neuroni specializzati, fatti apposta per favorire la mutua comprensione e il mettersi in relazione con gli altri. Nel prendere una decisione arriva infine anche il ragionamento, ma non parte da zero, ha già a disposizione molti elementi forniti da processi automatici. Il giudizio morale, in sintesi, sembra essere il prodotto dell’integrarsi più o meno armonico di reazioni emotive, momenti intersoggettivi e ragionamento individuale. È la cooperazione tra processi affettivi e cognitivi, quindi, che ci rende capaci di muoverci tra gli altri, tenendo conto della situazione che ci circonda, personale e relazionale, così come delle norme e regole sociali. Fin qui i risultati della ricerca, ottenuti analizzando le singole aree del cervello e gli scambi tra di esse. I successi della scienza, infatti, sono sempre stati conseguiti con il metodo di scomporre i problemi insormontabili in compiti più piccoli e facili, anche se questo può significare a volte perdere di vista il complesso. Ridurre la mente alla somma delle aree componenti il cervello, infatti, prefigura già una certa idea di uomo, forse più simile a individuo robot che a persona in relazione (vedi box). La conseguenza immediata è la tentazione di usare medicinali o altre tecniche per modificare i concetti di salute o malattia mentale. Come se fosse possibile definire qual è la mente normale. Già cominciano a circolare domande preoccupate tipo: lo Stato dovrebbe far diventare la gente più buona, modificando con farmaci alcune attività cerebrali? Oppure: se ho una lesione nell’area del cervello che controlla l’aggressività, posso essere dichiarato non colpevole di omicidio? E ancora: hanno senso i testimoni nei processi, se con certi farmaci si possono cancellare i ricordi sgradevoli? Siamo su un terreno estremamente scivoloso, perché si toccano argomenti fondamentali come la libertà e la responsabilità delle persone. Prima o poi sentiremo un avvocato difensore tuonare in tribunale: Non è stato il mio cliente, ma i suoi neuroni!. D’altra parte l’influenza dei risultati della ricerca scientifica nella vita e nella riflessione delle persone è crescente in tutti i campi, per cui queste domande apparentemente paradossali potrebbero presto diventare normali anche per il grande pubblico. Quali conseguenze avrebbe una notizia tipo: Identificata l’area della felicità nel cervello. La pillola per non soffrire più è già in vendita in farmacia? Chissà, la razza umana potrebbe anche decidere, un giorno, di rinunciare alla fatica della libertà, del dolore e della responsabilità per adagiarsi in un limbo indistinto di armonia, artificiale e senza scosse. È in fondo la vecchia domanda a cui da secoli ognuno deve rispondere: È meglio un maiale soddisfatto o un Socrate insoddisfatto?. Al di là delle interpretazioni estreme, comunque, queste ricerche sono intanto utili per aiutare singole persone in difficoltà. E poi, in fondo lo sappiamo da migliaia di anni: ognuno di noi, nel prendere certe decisioni, è influenzato dalla propria storia, dalle ferite, dalle gioie, dalle delusioni, dalle esperienze di una vita. Però la nostra libertà rimane, così come la nostra responsabilità. Piuttosto, come nota Laura Boella, che insegna filosofia morale a Milano, nel suo libro Neuroetica (Raffaello Cortina), potremmo dire che dai risultati della ricerca scientifica e da questo dibattito siamo interpellati, tutti noi, dalla domanda amorosa della pietà, della condivisione di un comune destino di fragilità . Insomma, dietro ogni volto, anche quello che ci sembra più ripugnante, c’è una forza, una ricchezza da far venire alla luce, e una fragilità di cui farsi carico, in una riscoperta sempre più profonda della nostra umanità. UN DIRITTO DA RIFONDARE? Gianni Caso, presidente onorario della Corte di cassazione, è responsabile dell’iniziativa Comunione e diritto (www.comunionediritto.org), rete internazionale di operatori e studiosi del diritto. Se un cervello funziona male la persona è colpevole? Se la lesione esclude totalmente la capacità di intendere e volere, il soggetto è trattato come pericoloso, ma non colpevole. Se la capacità è scemata, c’è una diminuzione della pena, a seconda se la menomazione è più o meno grave. Per quanto riguarda i soggetti predisposti, cioè obbligati, a commettere un reato, è la scienza che deve dire se esistono, ma mi sembra una tesi molto difficile da sostenere. Per essere chiaro, la pedofilia quando passa a fatti concreti è un fatto criminale e non esclude l’imputabilità. Che succede nei processi se arriva la pillola che cancella la memoria? Il diritto tutela l’integrità fisica della persona e vieta tutti gli atti di menomazione di questa integrità. Per cui questo farmaco attualmente potrebbe essere illegale. La legge oggi sembra occuparsi molto dei diritti dei singoli. La tendenza attuale all’individualismo è riflessa anche nel diritto. Per una serie di motivi storici e culturali gli uomini di oggi non riescono più a vivere i rapporti tra loro in modo tale da trovare in essi la propria realizzazione. Molto spesso si vede nell’altro solo un nemico e lo scopo della vita è raggiungere la realizzazione personale, il successo. La relazione quindi non è più vista come qualcosa di positivo. Il diritto ha risentito di questa tendenza culturale e cerca di tutelare tutti gli interessi del singolo individuo. Anzi, qualunque pretesa dell’individuo viene rivendicata come un diritto, basta pensare al tema della bioetica. Questa è la situazione attuale Cosa proponete, voi di Comunione e diritto? I compiti del diritto sono due: il primo è tutelare la dignità di ogni essere umano, sia sul piano pubblico (libertà, vita, dignità), sia sul piano privato (tra persone). Il secondo è regolare la vita della società, facendo leggi che assicurino una convivenza giusta, nella quale ogni persona possa realizzare la propria personalità esprimendo sé stessa e sfruttando i propri talenti per il bene della società. La persona si realizza infatti veramente solo quando mette a disposizione degli altri le proprie capacità. Partendo da questa premessa, vorremmo capire quali esigenze della persona in relazione vanno tutelate dal diritto. Il diritto penale in particolare dovrebbe trarre esplicita motivazione da questa visione antropologica per vietare tutto ciò che attenta alla dignità delle singole persone e alla giusta convivenza. Recuperando quindi la sua vera ragion d’essere. Anche il dibattito sulla neuroetica dovrebbe spingere a rafforzare la responsabilità delle singole persone nei confronti degli altri e della comunità. Non si possono giustificare certe azioni solo perché uno ha una determinata tendenza o impulso personale. Se fosse vero, il problema andrebbe affrontato sul piano medico, per aiutarlo, ma non può incidere sulla responsabilità.

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