Il merito di chi studia

L’Istituto superiore di cultura Sophia, Summer School del Movimento dei focolari, non produce solo l’autentica esperienza spirituale-culturale di cui sono da quattro anni testimone partecipe, anche come insegnante, e che Città nuova ha anche ultimamente descritto (vedi n. 18/2006), ma favorisce anche l’impegno di studio e di ricerca dei suoi studenti. Vorrei qui documentare due risultati brillanti e promettenti, in forma di pubblicazioni saggistiche, di due giovani che condividono questa esperienza. Andrea Paganini, svizzero di matrice linguistica italofona, dopo molte e varie pubblicazioni realizza con Un’ora d’oro della letteratura italiana in Svizzera, edito da Armando Dadò, un libro importante e per molti aspetti cruciale, analisi storico- critica di una particolarissima stagione culturale, quella dei fecondi rapporti tra molti intellettuali italiani antifascisti esuli in Svizzera, e un giovane parroco di Poschiavo (Grigioni), don Felice Menghini, spirito sensibile e in perenne ricerca, cultore di letteratura e amico di narratori e critici e poeti, egli stesso scrittore, poeta, organizzatore culturale, editore; morto poi trentottenne per un incidente di montagna nel 1947. Da una vasta tesi di dottorato che negli anni scorsi ho visto crescere, Paganini trae il presente volume, un tesoro di notizie storicocritiche e bibliografiche intorno a molti intellettuali italiani e svizzeri in rapporto con Menghini; e il volume di prossima uscita, che conterrà un’ampia antologia del nutritissimo epistolario dello stesso sacerdote letterato. Del quale posso stralciare un breve autoritratto culturale, accanto a quello che ne fa il giovane Piero Chiara, futuro narratore di fama, rilevando l’attitudine idilliacoromantica dell’animo e l’incessante anelito del divino. Dice effettivamente di sé Menghini pur parlando della poesia religiosa: (…) l’esperienza religiosamente artistica è la più difficile di tutte: appunto perché è il primo passo, dirò meglio il primo slancio, verso la santità. (…) Per il cristiano vi è una sola certezza: quella dell’anima, del la vita futura ed eterna. Allora si comprende la vanità e la poca, anzi la nessuna importanza delle guerre mondiali e di tutto il miserabile arrabattarsi degli uomini per le cose di questo mondo e di questa vita. Si capisce, in questa luce, la sua capacità di attrazione nei confronti di molti scrittori, da Chiara a Vigorelli, da Scerbanenco a Fasani a tanti altri, e la stessa ascesa letteraria del prete-poeta-traduttore, messa bene in luce da Paganini con una disamina acuta dei crescenti meriti e anche delle non ancora risolte immaturità espressive (esemplare il capitolo su Menghini traduttore di Rilke). Veramente accadde un felice incontro tra la libertà elvetica e la cultura italiana in quell’ ora d’oro che per Menghini era il più rosso tramonto e che diede il nome alla sua più cara collana editoriale; e, per Paganini, a tutto quell’articolato intrecciarsi di rapporti creativi e produttivi tra scrittori, che recita ancora da esplorare in molti testi inediti. Claudio Cianfaglioni ci dà invece, con la pubblicazione della sua tesi di laurea Vox populi vox Dei? Proverbi e locuzioni idiomatiche nei Promessi sposi, Abadir edi- tore, uno studio originale e interessante su Manzoni paremiologo, cioè cultore dei proverbi popolari disseminati nel grande romanzo, ed egli stesso elaboratore di tali locuzioni caratteristiche: Vorrei, in sostanza, dimostrare – scrive Cianfaglioni – che Manzoni non solo infarcisce il suo romanzo con un cospicuo numero di proverbi – che sarebbe davvero imbarazzante non rilevare quasi ad ogni capitolo -, ma che è talmente interessato a questo genere letterario da farne oggetto di studi e di ricerca. E in più che, inconsapevolmente e lontano da ogni intento scientifico, proprio attraverso le pagine dei Promessi sposi, Manzoni stesso si fa, oltre che paremiologo, inventore di proverbi ancor oggi in voga. In un primo capitolo l’autore analizza le origini antiche e l’uso moderno, soprattutto in età romantica, dei proverbi, poi, a partire dal Dictionnaire des Proverbes Français letto e postillato da Manzoni a partire dal 1823 (le postille erano finora inedite), cioè dalla conclusione del Fermo e Lucia, prima stesura del romanzo, alla seconda e a quella definitiva, ci offre una esauriente e criticamente articolata panoramica dei proverbi manzoniani, espliciti, non dichiarati, incompleti (affinché il lettore stesso argutamente li completasse), neo-formati dall’autore, biblici, mutuati da citazioni colte e da usi popolari lombardi; commentandone alcuni affinché la loro lettura esemplare illumini anche l’uso manzoniano di tutti gli altri. D’altra parte Cianfaglioni sa e ricorda che la posizione di Manzoni rispetto ai proverbi è complessa, ambigua – non equivoca -; risultando da un incontro spesso ironico tra la diffidenza del razionalismo illuministico (che è parte della formazione manzoniana) verso opinioni e superstizioni popolari, anche contenute nei proverbi, e il profondo interesse romantico- cristiano per le tradizioni e la genuinità popolare stessa. Abbiamo così la lista completa di proverbi, modi di dire, citazioni, luoghi comuni, presenti nel romanzo e raccolti per capitolo con l’attribuzione del loro locutore; e quindi le postille manzoniane al Dictionnaire, corredate da alcune fotografie del testo. E infine una griglia in cui si dimostra attraverso dieci esempi l’uso manzoniano diacronico, progressivo e perfettivo, dei proverbi. Il lettore paziente e attento di queste righe si sarà reso conto che, sia nel caso di Paganini che in quello di Cianfaglioni, abbiamo non solo due saggi intelligenti, ma due studi irrinunciabili per chi vorrà in futuro accostarsi ai rispettivi argomenti e campi d’indagine. Il che fornisce una lusinghiera raccomandazione a leggerli.

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