Il lavoro che si può creare nel Sud

Intervista a Franco Caradonna, impegnato imprenditore pugliese. Un esame degli errori del passato e delle prospettive possibili per rispondere ad un presente difficile 
Lavoro edilizia

Prima del caso recente del suicidio dei coniugi baresi. maturato nei minimi particolari per poter irragionevolmente scappare da un destino di povertà, la Puglia è venuta alla ribalta, in maniera drammatica, con il crollo di un laboratorio di maglieria a Barletta senza le necessarie misure di sicurezza. Le giovani operaie ricevevano una paga di quattro euro l’ora; ma questo è, si dice, il lavoro disponibile. Non c’è davvero nessuna alternativa ?

 

Ne parliamo con Franco Caradonna, amministratore della Unitrat di Bari, tra i testimoni a Loppiano Lab dell’esperienza di vent’anni di economia di comunione. La storia di Caradonna è segnata dalla volontà di tornare dal Nord a fare impresa industriale nella sua terra.  Oltre trentanni di presenza nel settore trattamento dell’acciaio. Una attività che lo ha portato ad aprirsi e comprendere il territorio.

 

Come si può descrivere la situazione attuale?

«Abbiamo un presente che è il frutto di quarant’anni di tentata industrializzazione senza successo. Nella sola zona industriale di Bari si contavano nel settore manifatturiero 20 mila addetti. Ora siamo arrivati a 8 mila. Di fatto, gli enti locali e le politiche nazionali non sono riuscite, nonostante i generosi finanziamenti pubblici, a condizionare le multinazionali presenti in Puglia (come Getrag, Bosch, Alenia) a trasferire una quota della sub fornitura alle aziende del territorio».

 

Con quali conseguenze ?

«Parlano i dati. La disoccupazione giovanile da noi ha superato il valore del 50 per cento. Negli ultimi otto anni abbiamo registrato l’esodo di ottocento mila giovani diplomati e laureati delle regioni meridionali che si sono trasferiti al Nord ed all’estero.

 

Come fa reggere un’economia del genere?

«Non regge. Si pensi alla sanità che nel Sud raggiunge miliardi di debito e si calcola che ogni anno un milione di persone si sposta al Nord per ricevere le cure presso strutture pubbliche che dovrebbero essere uguali dappertutto. Il fenomeno dell’evasione fiscale, poi, raggiunge livelli altissimi. Il 50 per cento in Puglia, l’85 per cento in Calabria. Si tratta anche del frutto negativo di una cultura dominata inconsciamente dalla diffidenza e dall’individualismo che influenza tutte le scelte quotidiane nei vari ambiti della società»

 

Quale tipo di investimenti sono necessari in questa situazione ?

«Credo che nonostante tutto abbia ragione il presidente Napolitano quando dice che il futuro dell’Italia passa dal Sud. Siamo una risorsa straordinaria di cultura, ambiente, storia, con una grande vivacità e capacità creativa. Ma il primo vero investimento da compiere è quello di un profondo cambiamento culturale. La diffidenza deve lasciare spazio alla fiducia, alla reciprocità, alla gratuità. Si ricostruisce il tessuto sociale solo quando l’altro non è più considerato un estraneo ma un fratello».

 

Non le sembra però solo una buona intenzione?

«A dire il vero credo che sia la radice stessa dell’economia reale, non quella della roulette finanziaria che non produce ricchezza. Sono molto legato alle parole di un economista meridionale come Antonio Genovesi che, nel Settecento, diceva “fatigate per il vostro interesse.Niuno uomo potrebbe fare altrimenti ma quando potete studiate di fare gli altri felici; e’ legge dell’universo che non si può fare la nostra felicità senza fare quella degli altri” ». 

 

E questo cambiamento cosa produce?  

« Senza questa prospettiva vedo difficile pensare allo sviluppo del Sud che ha certo bisogno di imprese, ma per diventare imprenditori bisogna essere innamorati del proprio lavoro, farlo per gli altri, per passione, sentire forte la voglia di rischiare ed essere creativi. Solo in tal modo si può dare vita a progetti che rispondono a reali esigenze rilevate attraverso l’osservazione attenta del territorio».

 

In concreto cosa vuol dire in Puglia?

«Da noi si tratta di favorire le aggregazioni, i distretti e i consorzi. Pensiamo ai nostri prodotti agricoli (ciliegie, olio, pomodori, uva da tavola e vino) che spesso non riusciamo a valorizzare o anche a recuperarne i costi di produzione, perché, ognuno li vuole raccogliere e vendere per conto proprio. Certo non possiamo non richiedere l’uso intelligente delle risorse occorrenti e già esistenti come i fondi della Comunità Europea».

 

E altri settori da sviluppare ?

«Vedo quello legato al terzo settore. Ormai molti soggetti del non profit che hanno erogato servizi per conto dello Stato non riescono più ad essere pagati. Vantano crediti scaduti da oltre due anni nei confronti dell’ amministrazione pubblica. Ci vogliono, invece, imprese sociali in grado di produrre beni e servizi creando posti di lavoro»

 

Ma come si finanziano queste nuove imprese se proprio le risorse pubbliche vengono a mancare?

«Le risorse ci sono, il problema è che sono distribuite male, bisogna tirarle fuori. E’ necessario coinvolgere tutti i soggetti disponibili, per una maggiore sinergia nel territorio, gli enti territoriali e locali per le convenzioni, le fondazioni con le erogazioni liberali, il mondo delle imprese, gli imprenditori, i destinatari dei servizi, il microcredito, il 5 x mille, le banche locali e quelle come Banca Etica o Banca Prossima. Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia del terzo settore, prevede per il Sud la possibilità della nascita di circa 50 mila imprese in grado di creare da 200 a 300 mila posti di lavoro».

 

Una grande lavoro da compiere…

«Già e noi come società civile affascinata dalla realtà di una economia di comunione ci stiamo provando. Ormai è già avviata una scuola permanente di economia civile che sta già dando i suoi frutti».

 

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