Il grido di Aleppo e la marcia verso Assisi

La logica delle armi alimenta una guerra senza fine non solo in Siria. A che serve manifestare ancora per la pace? Intervista a Maurizio Simoncelli dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo  
marcia per la pace perugia assisi

Alla vigilia della marcia della pace e della fraternità Perugia Assisi di domenica 9 ottobre 2016, assistiamo impotenti alla guerra senza fine in Siria che città nuova.it sta raccontando dalla parte delle vittime. Come ha scritto Michele Zanzucchi, «Aleppo è la Sarajevo dell’inizio del XXI secolo, come la città bosniaca alla fine del XX secolo era stata l’icona della cattiva coscienza del mondo intero. Aleppo e Sarajevo, incrocio della malvagità dell’uomo e dell’ignavia delle cancellerie mondiali, buco nero del tutti contro tutti, dell’incapacità umana di capire che una ferita va curata per guarire, e non va continuamente infettata».

Il disorientamento è grande. Cerchiamo di tracciare qualche elemento di analisi con Maurizio Simoncelli, vice presidente e cofondatore dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo.

Sembra impossibile capire chi è il responsabile del massacro, sotto quale ambasciata andare a protestare. È davvero così la situazione? non si può fare niente?
«Per il caso specifico dei massacri in atto ad Aleppo, le notizie giornalistiche parlano di bombardamenti aerei e terrestri. Per i primi solo Russia e governo siriano sono dotati di questi mezzi, pertanto in Italia si può protestare solo nei confronti dell’ambasciata russa, visto che quella siriana ha chiuso i battenti da tempo. Il cosiddetto movimento pacifista (galassia di gruppi, associazioni locali e nazionali) ha comunque più volte cercato di far sentire la propria voce in merito al conflitto siriano anche con manifestazioni nazionali a Verona e a Firenze nel 2014 e nel prossimo 9 ottobre lo farà di nuovo con un’imponente marcia per la pace da Perugia ad Assisi. E’ stato anche denunciato il continuo flusso di armi e munizioni inviato in quella area, ma anche di questo i mass media italiani (soprattutto quelli nazionali) hanno dato scarsissimo rilievo. Purtroppo tutti i governi (sia ad est sia ad ovest) sembrano prediligere l’uso della forza per tentare di risolvere tale crisi: anche l’Italia ha inviato 2 mila tonnellate di armi e munizioni ai curdi nel 2014. Non va dimenticato che la crisi siriana s’intreccia con quella irachena e con la nascita del califfato islamico, nell’ambito di una partita internazionale ben più complessa che vede coinvolti non solo il governo siriano, l’opposizione laica e i tagliagole dell’ISIS, ma anche l‘Arabia Saudita, il Libano, l’Iran, la Turchia, la Russia e gli Stati Uniti. Ognuno con i propri interessi di volta in volta coincidenti o contrastanti, come testimoniano ad esempio le recenti vicende tra Russia e Turchia. Non va comunque dimenticato che la vasta area mediorientale in fiamme è ricca di giacimenti di gas e di petrolio, materie prime che interessano per diversi motivi i vari attori in gioco, tutti interessati ad agire su quello scacchiere geopolitico».

Adriano Sofri su Il Foglio ha attaccato il pacifismo irresponsabile per omissione di soccorso contro i tagliagole dell’Isis e il “criminale” Assad. Non è venuta l’ora di intervenire anche con le bombe, se necessario, per fermare il massacro come dice l’ex fondatore di Lotta Continua?
«Sofri forse non ricorda che la nascita dell’Isis è strettamente legata all’intervento militare occidentale che ha portato l’Iraq nel caos e alla successiva destabilizzazione dell’intera area. Sofri dimentica tra l’altro che il cosiddetto “realismo responsabile” da anni sta fornendo armi e munizioni al Medio Oriente con i risultati che tutti vediamo. Qualche dato, al di là delle parole, è forse utile: il 25% delle importazioni mondiali di armi nel 2015 è stato diretto verso il Medio Oriente (SIPRI 2016).  L’import di armi nel Medio Oriente è cresciuto del 61% tra il 2006–10 e il 2011–15. Durante il quinquennio 2011–15, il 27 % dell’export verso il Medio Oriente è andato all’Arabia Saudita, il 18% agli Emirati Arabi Uniti e il 14% alla Turchia. Anche l’Italia ha esportato maggiori sistemi d’arma (aerei, navi, mezzi corazzati, artiglieria ecc.) nell’area del Medio Oriente e Nord Africa per 1.478 milioni di dollari nel periodo 2010-2015. E queste cifre non comprendono le armi piccole e leggere (dalle pistole ai fucili, ai mitra e alle mitragliatrici) di cui non si riesce ad avere dati chiari, dato che la relazione che i nostri governi dovrebbero presentare al Parlamento in base alla legge 185/90 è diventata illeggibile».

Allo stesso tempo Manlio Di Nucci,  su Il Manifesto, riporta il contenuto delle mail svelate della Clinton che ne rivelano la diretta responsabilità nell’aver programmato il caos in Siria davanti ad un riluttante Obama. È un quadro inquietante presumendo la sua elezione come nuovo presidente Usa come male minore davanti alla ipotesi Trump. Cosa si può sperare?
«In realtà la logica del colonialismo nazionalista dei secoli passati non è mutata: sono cambiati i mezzi con cui le potenze cercano di operare sullo scenario mondiale, a volte con interventi militari diretti o indiretti, a volte attraverso azioni economiche e finanziarie. Si è sempre convinti di poter intervenire senza considerare la complessità delle reazioni che si provocano. Basta pensare a quello che è successo con l’Iraq e alle tardive scuse di Blair di fronte alle precise accuse della commissione che ha evidenziato l’inattendibilità delle motivazioni della guerra scatenata. Lo stesso dicasi per la Libia quando Obama ammette di non aver adeguatamente valutato cosa fare in questo paese dopo la destituzione violenta di Gheddafi. Tacciamo sull’Afghanistan, dove dopo quindici anni di permanenza il caos regna sovrano. Siamo di fronte a governi che con superficialità dichiarano guerre e scatenano crisi che coinvolgono il mondo. Trump, con il suo populismo semplicistico, appare la preoccupante caricatura di comportamenti più soft, che comunque hanno devastato il nostro Mediterraneo, provocando esodi di profughi dalle dimensioni mai viste: quasi 50 milioni nel 2015. Inoltre questi massicci flussi stanno mettendo politicamente in crisi non solo le forze di governo, ma anche la tenuta stessa dell’Unione Europea. Occorre pertanto rafforzare le istanze internazionali, come l’UE e l’ONU, che in questi anni è stata tenuta in disparte e non è riuscita ad esercitare più alcun ruolo significativo. Le recenti denunce sui crimini di guerra di Ban Ki-moon appaiono, purtroppo, parole al vento».

Come studioso, lei non è rimasto alla scrivania ma è andato in procura per denunciare la violazione della legge 185 con il transito delle bombe dall’Italia verso l’Arabia Saudita a capo della coalizione che bombarda in Yemen colpendo anche gli ospedali. Una tragedia che vede una mobilitazione in diversi Paesi. Che risposte avete avuto dal governo? Come si possono valutare?
«Attraverso il lavoro di studio e di ricerca del mio istituto abbiamo documentato il traffico di armi verso questi Paesi e lo abbiamo messo pubblicamente a disposizione dei mass media, delle forze politiche e di quanti interessati. Poi, personalmente, ho aderito ad un’iniziativa della Rete Italiana per il Disarmo (un network della galassia pacifista italiana) ed abbiamo presentato un esposto in varie procure circa l’invio di bombe RWM dall’Italia all’aviazione saudita che le sta utilizzando nella guerra in Yemen. La legge italiana 185/90 vieta tali esportazioni in paesi in guerra, salvo diversa decisione del governo dopo aver sentito il parere del parlamento (che invece non è stato consultato). Il ministro Pinotti ha fatto varie dichiarazioni inattendibili, affermando da un lato che erano “regolari”, dall’altro che era solo un “transito” di prodotti tedeschi. In realtà la RWM dipende dalla Rheinmetall Defence tedesca, con sede a Düsseldorf, ma la RWM Italia ha la sede legale a Ghedi nel nord Italia e ha un impianto di produzione in Sardegna a Domusnovas: è insomma una ditta italiana. Comunque sia, la legge 185/90 parla chiaro all’art. 1 comma 6, affermando che sono vietati l’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione. Ad oggi personalmente non ho notizie ufficiali in merito all’esposto, ma ritengo che almeno una procura stia indagando. Vedremo se la magistratura interverrà».

Su realtà e conseguenza della “Menzogna della guerra” il Movimento dei Focolari in Italia ha promosso un incontro pubblico il 5 ottobre a Firenze dalle ore 17 presso il Centro Giorgio La Pira

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