Il gioco

“Pensavo che almeno il più grande dei miei bambini, all’ingresso nella terza elementare, cominciasse a dedicare maggior tempo allo studio. Invece, appena può, lascia libri e quaderni e corre a giocare con il fratellino più piccolo che sta facendo l’ultimo anno di asilo. “Se poi sente suonare alla porta, chiede subito di andare a giocare nel cortile senza preoccuparsi minimamente dei compiti. Cosa debbo fare?”. Mamma di Berardo. Questa lettera è ancora una dimostrazione della poca conoscenza del mondo infantile da parte degli adulti. L’articolo 31 della “Convenzione internazionale sui diritti dell’ infanzia” recita: “Il bambino ha il diritto di giocare”. Questo diritto concorda perfettamente con lo studio della psicologia infantile, che vede il gioco come indispensabile ad uno sviluppo armonioso delle componenti affettiva, di rapporto, emotiva e relazionale. Perché ciò avvenga, però, non è sufficiente che ciascun bambino disponga di tempo. La completa realizzazione del gioco richiede la compagnia di amici con i quali confrontarsi anche competitivamente, e spazi. A chi si preoccupa di proteggere un normale e sano sviluppo psichico ed emotivo non bastano sani princìpi ed affermazioni teoriche. Non basta che gli adulti “stivino” nelle stanze centinaia di giocattoli quando gli amici e spesso i fratelli non ci sono, mancano spazi all’aperto e anche la casa è piccola e piena di divieti: “Non salire sul divano, non entrare nel salotto buono, non camminare scalzo, non correre nel corridoio…”. Non resta allora che ripiegare sui videogiochi, statisticamente in aumento, che hanno soppiantato quelli all’aperto dei nonni e il sedentario ma non solitario Monopoli.

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