Il giardino dell’infanzia

Se ne scorge l’ombra provenire da una finestra nell’interno dello stanzone; e, nel finale, si sente solo il rumore dei colpi della scure. È il giardino dei ciliegi che, venduto all’asta per debiti, verrà abbattuto per essere lottizzato dal nuovo proprietario Lopachin, il figlio del servo della tenuta, diventato il nuovo ricco. La sua vendita segnerà per Gaiev e per l’incosciente e dilapidatrice sorella Ljuba, tornata in famiglia dopo anni parigini di dissipazione, la fine di un mondo agiato che di lì a poco verrà travolto dalla rivoluzione russa per lasciare posto al traumatico avvento di tempi nuovi. E a un diffuso senso di smarrimento e di incapacità d’azione: metafora di una condizione umana. Perché Cechov ci parla soprattutto di metamorfosi dei sentimenti nel ciclo delle stagioni umane. L’edizione di Ferdinando Bruni del Giardino dei ciliegi per il Teatro dell’Elfo sostituisce alla tradizionale atmosfera cupa e malinconica una leggerezza nostalgica e una giocosità infantile che rende i personaggi sospesi tra passato e futuro senza però la coscienza del presente, foriero di disperazione. Le parole di Cechov risuonano limpide nel lento e dilatato scorrere del tempo dove avviene improvvisa una sospensione. Nella claustrofobica e antica stanza di bambini – ritrovo e crocevia di vite ancora da maturare – tutti i personaggi restano immobili nell’assoluto silenzio rotto solamente dalle lancette dell’orologio. Per riprendere subito l’ozioso tran tran. Nel complesso una messinscena di tutto rispetto, senza compiacimenti interpretativi e simbolismi, ma senza una chiave registica forte – come ci si aspetterebbe da una compagnia storicamente innovativa – che ci renda nuovo il gran testo rivisitato infinite volte. Resta però la splendida prova soprattutto di Ida Marinelli, che ingentilisce l’isterismo da snob distaccata della sua Ljuba, e dello svagato fratello reso buffo da Elio De Capitani Danza CAGNETTI PER BUDLLA Sulle musiche di Alva Noto e Ryuichi Sakamoto, Deep white di Andrea Cagnetti racconta la genesi di un rapporto d’amore. Il coreografo e danzatore romano coniuga ricerca stilistica e studio intimo della psiche per evidenziare un luogo interiore fatto di un silenzio ovattato, bianco. Affiancato da Alessandra Gattei ci racconta, con una danza molto energica, il trascolorare, astratto e minimale, di un sentimento intimo e quotidiano, di confronto, scontro, reciprocità. Insieme allo spettacolo, debutta Un jam Hektor Budlla, una breve coreografia creata per il solista del Balletto di Roma. Sulle note della rock band giapponese Mono, i movimenti del ballerino albanese, creati da Cagnetti, vogliono esprimere le difficoltà e i conflitti di un giovane artista che vive con la sua cultura, educazione e tradizioni, fuori dal suo Paese. Dotato di una solida tecnica classica e moderna, Budlla tira fuori ricordi e pensieri dallo scrigno della sua vita di uomo sensibile, integro e ricco d’anima. Al Teatro Vascello di Roma il 29 e 30 maggio.

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