Il gas della riconciliazione

Se crisi ed energia stanno mettendo in ginocchio il Paese, il panorama culturale e religioso è stimolante. Intervista con l'archimandrita Cyril.

Il mondo dell’ortodossia ucraina è qualcosa di insolito, forse di unico, nel panorama delle Chiese orientali, così composito e per certi versi enigmatico. Un mondo che sta assorbendo le enormi contraddizioni esterne ed interne provocate dalla caduta del comunismo e dal rimescolamento geopolitico degli ultimi vent’anni. Una presenza cristiana che qualcuno potrebbe definire a metà del guado.

È vero, la Chiesa ortodossa ucraina – o meglio, “che sta” in Ucraina – non è “di parte” nei problemi tipici dell’ortodossia. Mantiene inoltre ottimi rapporti con la Chiesa cattolica romana, anche se nel contempo nutre una forte diffidenza verso i greco-cattolici, gli uniati.

È inoltre una Chiesa che al suo interno deve fare i conti con una forte presenza pro-russa, ma anche di una parte – che sembra maggioritaria – sensibile al contrario all’autonomia dal Grande Vicino. È una Chiesa (non ancora) autocefala, ma che gode di una invidiata autonomia, anche dal potere civile. Il che non è poco.

Nel cuore di questa Chiesa così insolita, al monastero Kievo-Pecherska Lavra, incontro colui che potrebbe essere definito il Kirill ucraino, nel senso che è il responsabile del dipartimento per i rapporti internazionali della Chiesa ucraina. Ha studiato all’estero, è particolarmente apprezzato fuori dall’Ucraina, è giovane ed intelligente. È vescovo, Cyril Hovorun, archimandrita e PhD. Un curriculum di tutto rispetto e un uomo dalla conversazione gradevole. Con lui il dialogo è realtà, non auspicio.

 

Il vescovo Cyril è preoccupato per la situazione delle donne ucraine in Italia, alcune centinaia di migliaia, arrivate in massima parte come badanti. Per questo sta cercando assieme al card. Tettamanzi di proporre una joint venture tra la Chiesa ambrosiana e quella ucraina.

«È un problema sociale per noi e per voi – mi dice –. Per noi, perché queste donne lasciano la loro famiglia, spesso già distrutta dall’alcolismo dei padri, affidando i figli ai nonni. Per voi, perché queste donne spesso si ritrovano a ricostruirsi una vita in Italia, distruggendo altre famiglie anche da voi. Il problema è serio, e va affrontato certamente a livello pastorale – noi speriamo di poter assicurare una maggior assistenza spirituale a queste donne, in Italia, che vogliono rispettare la legge e che sono profondamente religiose –, ma anche a livello legislativo, perché molte badanti sono in Italia senza permesso, e questo le spinge a cercare ancor di più un nuovo marito che possa dar loro uno status sociale adeguato, cioè la cittadinanza italiana».

L’archimandrita traccia un profilo preoccupato della situazione familiare in Ucraina: «È ormai facile formare una famiglia, rispetto al tempo del comunismo, ma è anche molto più facile distruggerla. Cerchiamo perciò di favorire il diffondersi di una serie di valori familiari che possano influenzare anche la legislazione, per la preservazione della famiglia e della sua unità. Se il comunismo “proteggeva” a suo modo la famiglia, imponendo l’unità, oggi la situazione è diversa».

 

Giovani? «Sono il futuro della Chiesa. Per questo abbiamo avviato, grazie alla presenza di alcuni preti innovativi e dinamici, una pastorale nuova, basata anche sui linguaggi dei giovani, come la musica rock, ad esempio: anche l’allora metropolita Kirill della Chiesa russa ha parlato al termine di uno di questi concerti. Un vescovo del nord, poi, parla ai giovani stando su una mongolfiera… Tutto serve!».

L’archimandrita Cyril è felice dei rapporti con la Chiesa cattolica romana: «Il metropolita Vladimir – capo della Chiesa ucraina – e io stesso abbiamo delle ottime relazioni con il Pontificio consiglio per l’unità delle Chiese. Qui in Ucraina i rapporti sono assai positivi, anche perché non c’è il minimo interesse proselitistico tra i cattolici romani, che in massima parte sono polacchi. Ci sono più difficoltà, va detto, con i greco-cattolici, quelli che noi chiamamo uniati, per via della storia e delle discussioni sulla proprietà dei beni immobili».

La Chiesa ortodossa ucraina vive momenti di grande creatività, pur in una fortissima incertezza identitaria: «La nostra è una delle Chiese ortodosse più importanti – mi spiega –, anche se non è autonoma, non è autocefala, come si dice. Basti pensare che il battesimo della Rus’ è avvenuto qua, più di mille anni fa. Ed è anche all’origine di una gran quantità di potentissime comunità della diaspora, specialmente negli Stati Uniti. Abbiamo quindi molti fedeli, una grande partecipazione emotiva della popolazione, molte risorse umane e anche finanziarie, pur non avendo una struttura autonoma. Dipendiamo dal patriarcato di Mosca, ma nel contempo abbiamo ottime relazioni con il patriarcato di Costantinopoli».

 

La situazione è resa più complessa dalla presenza di altre comunità ortodosse in Ucraina: «Penso al cosiddetto Patriarcato di Kiev – mi dice –, penso alla Chiesa autocefala ucraina, penso alle tante comunità della diaspora che hanno una forte influenza su certe frange di fedeli in madre patria. Penso anche alle correnti filo-russe presenti all’interno della nostra Chiesa, che sono aiutate e finanziate dal governo russo per certe loro mire politiche sul Paese; e penso alla maggioranza filo-ucraina, che chiede una maggiore indipendenza; penso anche a certe tendenze filo-rumene presenti nel sud, nella Bucovina.

«Abbiamo bisogno di una Chiesa unita, in questo momento. In realtà queste tendenze sono espressione di una tensione politica e sociale che già esiste all’interno del Paese, che contrappone russi a ucraini. Per questo, guidati dal metropolita Vladimir, cerchiamo di puntare all’unità della nostra Chiesa senza accusare nessuno, senza sconfessare nessuno, mirando alla costruzione della comunità dei credenti. Anche la prospettiva dell’autocefalìa, che probabilmente risolverebbe molti problemi, non può essere avanzata senza che si sia raggiunto il consenso necessario, all’interno della nostra Chiesa che è in Ucraina come nelle relazioni con Mosca, Costantinopoli e Bucarest. Nel luglio 2008, va ricordato, per la celebrazione dell’anniversario del battesimo della Rus’, i tre patriarcati hanno celebrato insieme la liturgia qui a Kiev».

Rapporti col governo? «La separazione è reale, e le pressioni ora sono molto minori di qualche anno fa. Tutto ciò avviene in parallelo con la crescita democratica del Paese. Sì, il presidente Yushenko ha cercato di spingerci al riconoscimento di certe comunità separate, a fini propagandistici e politici, ma ora non lo fa più. Siamo una Chiesa libera, una delle più libere dell’ortodossia rispetto al potere politico locale. Anche nei singoli rapporti che abbiamo coi partiti cerchiamo di mantenere una sana indipendenza, auspicando varie forme di partnership per il bene del Paese. In questo senso il metropolita Vladimir è sempre attento alla trasparenza, ed evita pericolosi compromessi».

 

 

L’editore ecumenista

Dapprima m’appare un ancor giovane professore di cose teologiche, un po’ troppo entusiasta del suo lavoro. Poi capisco che mi trovo dinanzi ad una persona di vastissima cultura, di passione per la sua Chiesa, quella ortodossa ucraina, ma anche per l’ecumenismo. È stato per quattro anni professore in Francia, all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. Coi soldi guadagnati ha fondato un’editrice – Lo spirito e la lettera – che pubblica una cinquantina di volumi all’anno, che traduce testi corposi dall’inglese, dal francese, dal tedesco e dall’italiano. Tomi che farebbero paura a qualsiasi editore, cattolici, ortodossi e anche anglicani, senza dimenticare gli ebrei.

Konstantin Sigov è una mente fertile, in perenne ebollizione. Ha saputo creare una vasta rete di relazioni e amicizie, riuscendo tuttavia a rimanere semplice, accogliente, pieno di affettuose modernità. È sposato ad una fotografa d’arte, discendente di Pasternak; hanno tre figli.

«L’Ucraina – mi dice – ha conosciuto un forte sussulto democratico e di libertà, con la cosiddetta “rivoluzione arancione”. Mio figlio, ad esempio, vi ha partecipato, così come ho fatto io stesso. Un nuovissimo spirito di libertà responsabile ha attraversato l’Ucraina. Certo, le rivoluzioni conoscono le necessarie disillusioni, che servono anche per fare avanzare le idee forza, le novità culturali. La società sente di potere ormai influenzare la politica senza violenze, dimostrando la propria dignità».

Speranze per il Paese? «Sì, c’è una grande effervescenza, anche culturale ed economica, nonostante la crisi e l’ingombrante presenza del Grande vicino russo. Sono inguaribilmente ottimista, perché ritengo che la nostra vita sia ormai nelle nostre mani. Magari non avremo tanti soldi, ma la libertà ormai non dobbiamo lasciarcela sfuggire».

I laici nella Chiesa? «Hanno un loro spazio crescente, ritengo più che in altre Chiese ortodosse europee. È un bene. Io stesso ne sono un esempio, ma come me c’è tanta gente che collabora con la gerarchia ecclesiastica pur mantenendo una sua autonomia decisionale nelle cose secolari». 

Il suo “regno” è all’università Mogila, nel quartiere degli intellettuali di Kiev, il Podil: qui Sigov ha fondato il Centro San Clemente, un fermento culturale risolutamente ecumenico. È nella piazza dinanzi all’università, la Kontraktova Ploscha, che è sbocciata la “rivoluzione arancione” nel 2004, prima di trasmigrare nella più vasta Piazza Indipendenza. La prima istituzione che aderì e promosse tale sommovimento sociale e politico fu proprio l’università Mogila, professori, studenti e amministrativi insieme.

Dal Podil prendiamo poi la funicolare che ha il suo terminal superiore proprio dietro il complesso del Monastero di San Michele e l’orrido ministero degli Affari esteri, voluto da Stalin in persona. Osservando il trenino a cremagliera che percorre un breve itinerario all’inizio su rotaia unica, che poi si sdoppia per permettere ai due vagoni di incrociarsi, per poi arrivare al capolinea di nuovo su un binario unico, Konstantin mi fa: «La funicolare è una metafora ecumenica: all’inizio tutti i cristiani erano uniti, per poi dividersi e sviluppare ogni Chiesa un suo progetto, una sua visione della cristianità. Ma alla fine torneremo uniti, e non sarà solo all’ultimo momento». Mi piace l’idea, come quest’uomo che ricorda un po’ la forza e l’acutezza dei grandi: Bulgakov, Solovev, Florenskij.

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