Il Flamenco di Maria

La strage di Madrid ha sconvolto tutti. Lo stesso giorno, Marìa Pagés e la sua compagnia, schierata sul proscenio del Teatro Olimpico (per l’Accademia Filarmonica Romana) decidono di continuare a ballare per testimoniare la volontà di non lasciarsi piegare da chi vigliaccamente vuole uccidere la vita; convinti che l’amore può vincere l’odio. L’innovatrice ballerina e coreografa spagnola ha acceso la platea,prima con un minuto di raccoglimento, poi col suo travolgente flamenco da lei stessa definito un amalgama di culture e razze diverse, capace di creare un inno comune. Marìa Pagés ha mani e braccia che parlano. Sinuose e lunghissime le si attorcigliano attorno al corpo e sembrano spiccare il volo, mentre coi piedi batte freneticamente i tacchi cercando il suono della terra nella danza che esprime la sua anima sivigliana. Gesti subito innervati dallo stile contemporaneo, creando – coi suoi magnifici ballerini – una coreografia, El perro andaluz, Burlerìas, dalle molteplici qualità espressive, che ha segnato un’evoluzione del baile flamenco. Senza smitizzare quello tradizionale, vi immette aria nuova, freschezza creativa, dimensione teatrale.Assoli, duetti, masse corali e compatte che si muovono e ritmano all’unisono. Un pulsare del corpo e dell’anima che è, insieme, struggimento, virtuosismo, affermazione della vita.Anche la musica accetta l’intrusione di tanghi (di Piazzolla) e melodie moderne (Peter Gabriel, Tom Waits), che fanno da contrappunto al ritmo sostenuto di chitarre e voci. Queste le ritroviamo eseguite dal vivo nella seconda coreografia Flamenco Republic. Sette quadri di puro flamenco in un’esplosione, spiritosa e rigorosa, di gioia e vitalità. G.D.

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