Non si contano, nei cinque continenti, gli appassionati di Jane Austen che, in effervescenza per il 250° anniversario della sua nascita, suppongo stiano rileggendone le opere e rivedendo le fortunate riduzioni per il grande e piccolo schermo di Orgoglio e pregiudizio, Ragione e sentimento, Persuasione, Emma ecc… Figlia di un pastore anglicano, nata in un remoto villaggio dello Hampshire, avrebbe mai immaginato, lei quasi ignorata dai suoi contemporanei, che un giorno avrebbe occupato un posto di assoluto rilievo nella letteratura inglese dell’Ottocento?
Eppure non si era proposta di rinnovare la struttura del romanzo, ciò che invece sarebbe riuscito a Virginia Woolf; ma seguendo i modelli letterari del tempo e senza dissentire apertamente dalle convenzioni dell’epoca, che alle ragazze della sua classe sociale inculcavano la necessità di saper dipingere, disegnare, ricamare, suonare uno strumento, occuparsi della casa e conversare con proprietà per essere adatte al ruolo di spose e madri, Jane ha disseminato qua e là nei sei romanzi pubblicati (vanno aggiunti gli incompiuti I Watson e Sanditon) delle “mine” capaci di far saltare in aria questi e altri stereotipi. E in modo sorridente ed equilibrato, soprattutto attraverso personaggi femminili magistralmente disegnati. Celebre per la sua ironia, che li rende così vivaci e brillanti, maestra nei dialoghi, umilmente conscia dei suoi limiti, ha fatto da ponte tra il romanzo domestico settecentesco e quello di costumi vittoriano.
Come possono, risultati del genere, essere scaturiti da una esistenza senza eventi, in un ambiente di provincia non esente da pettegolezzi e pregiudizi, nella monotonia di una vita quasi segregata e con poche occasioni di rapporti sociali? Di non comune intelligenza e sensibilità, educata all’integrità morale e ai valori cristiani, la figlia del pastore anglicano di Steventon sapeva osservare. Forse sta qui la chiave di tutto. Sapeva osservare con sguardo penetrante, ora divertito, ora spietato, ora comprensivo e compassionevole, pregi e difetti del suo piccolo mondo, tesaurizzando così le limitate esperienze umane che esso poteva offrirle.
Probabilmente il suo successo è da attribuirsi anche al fatto che, mentre il nostro quotidiano ci offre spettacoli di volgarità e di eccessi dai quali la dignità dell’uomo esce avvilita, la Austen ci trasporta in un mondo dove si vive con garbo, stile, discrezione, dove hanno posto i sentimenti, scandagliati con acutezza e temperati con l’umorismo. Aggiungi la prosa elegante e nitida, la costruzione abilissima delle trame, la capacità di tracciare con pochi tocchi ritratti di vivida freschezza: pregi che conferiscono alla sua narrazione una complessità e un fascino non comuni.
Ritenuta dai critici schiva o eccentrica, conformista o trasgressiva, può sorprendere come nella sua opera non si trovino accenni alla politica, alle sanguinose campagne napoleoniche o alle tensioni sociali del suo tempo, problemi dibattuti invece da scrittori suoi contemporanei come Dickens e Thackeray. Da sempre incline agli studi e alla lettura ma inadatta alla vita matrimoniale (tendenza invece di quasi tutte le sue eroine), quale altra prospettiva le restava se non intraprendere la carriera letteraria?
Jane Austen è anche la scrittrice tra le più imitate al mondo. Sono ormai una schiera le autrici di romanzi “austeniani” nei quali, tra i personaggi, compare non di rado lei stessa. Tra le altre, la britannica Gill Hornby, di cui l’editrice Neri Pozza ha tradotto Anne e Jane e Miss Austen. In entrambi i titoli, grazie a ricerche certosine fatte nei diari e resoconti dell’epoca, rivivono figure ed episodi secondari che contribuiscono a far conoscere meglio le vicende della famiglia Austen e le amicizie della stessa Jane. Il primo ripercorre la storia di Anne Sharp, che lavorò come istitutrice in casa del fratello maggiore della scrittrice, diventandone sua intima amica. Protagonista del secondo, invece, è Cassandra, la sorella a cui Jane fu più legata, nubile come lei e sua esecutrice letteraria dopo la morte. Nel romanzo, la conosciamo sessantenne mettersi in viaggio dalla sua casa di Chawton per raggiungere il vicariato di Kintbury con l’obiettivo inconfessabile di recuperare e distruggere alcune lettere private spedite da Jane all’amica Eliza Fowle, prima che finiscano in mani indiscrete. Due romanzi che lasciano il lettore stupito e appagato dalla capacità della Hornby di ricreare storie e atmosfere “alla Austen”.
Non è da meno Carrie Bebris, americana del Wisconsin, riuscita a completare felicemente Sanditon, uno dei due romanzi incompiuti a causa della malattia che portò la scrittrice ad una morte prematura nel 1817 a 42 anni, romanzo che ha consentito la realizzazione di una serie anglo-statunitense di 20 episodi tv, nella stagione 2019-23.
Altre autrici, invece, si sono cimentate nel restituirci l’universo ricco di stimoli in cui visse Jane. È il caso di Molly Williams, nata nel Midwest, una vita tra i libri e le piante. Assieme alla giardiniera e illustratrice Jessica Roux, originaria della Carolina del Nord, ha creato il delizioso Nel giardino di Jane Austen (Aboca Ed.), celebrazione della natura e della cura che le si deve attraverso le descrizioni botaniche disseminate dalla Austen nei suoi romanzi.
Ai lettori di Jane, infatti, non sfugge come questo elemento ricorrente nella sua opera, popolata di tenute aristocratiche con ampi parchi, piccoli giardini e alberi solitari, abbiano un impatto significativo sulla vita delle sue eroine. Penso ai boschi di Barton Park in Ragione e sentimento, alle rose fiorite in Mansfield Park, all’orto e al grande frutteto nell’Abbazia di Northanger, alle fronde selvagge di Highbury in Emma e al suggestivo giardino della canonica di Mr Collins in Orgoglio e pregiudizio.
Sarà anche per questo che la Austen si situa fra quegli autori “sempreverdi”, la cui influenza continua a crescere e germogliare proprio come le piante e i boschi da lei descritti con minuzia di dettagli?