Il difetto sta nel manico

E se si tornasse a banche con capitale pubblico?
La sede centrale di Unicredit

Prima che si affermasse nel mondo la visione di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, che tutto va meglio se lasciato all’iniziativa privata, le grandi banche italiane erano pubbliche e i loro profitti erano utilizzati per il restauro di beni culturali e per opere sociali. In quegli anni la spesa pubblica era invero appesantita dalle perdite di aziende affidate a manager a volte scelti grazie al faccendiere di turno, più per le loro amicizie politiche che per le loro capacità di gestione; vendendo queste aziende si tappavano i buchi ottenendo risorse per coprirne altri.

 

Così davanti all’invadenza della politica, invece di scegliere di nominare i manager pubblici tramite concorsi per titoli ed esami, gestiti da un’autorità indipendente, si decise di passare la palla ai privati; la stessa logica di chi piuttosto che assumere antibiotici per combattere un’infezione alla mano, si amputa l’intero braccio. Quando l’infezione è estesa, occorre amputare, ma nel caso delle autostrade, del settore alimentare, della siderurgia, della telefonia e della produzione e distribuzione di energia elettrica, si sarebbe potuto evitare di svendere.

 

Oggi finanzieri più o meno prestigiosi gestiscono queste aziende decidendo per sé generosi emolumenti e senza gran rischio personale, visto che si finanziano con i risparmi dei cittadini. Se la privatizzazione fu uno spreco di risorse pubbliche, quando si privatizzarono le banche il danno fu molto maggiore: il servizio pubblico da loro prestato, che deve essere poco costoso ed efficiente, fu assoggettato alla logica del profitto delle grandi banche d’affari. Ma come è possibile ottenere questo livello di profitti in un Paese che riesce a crescere a stento l’un per cento all’anno? Certamente non contenendo i costi per gli operatori dell’economia reale e per i piccoli risparmiatori; i manager bancari potranno riuscirci solo scovando le riserve occulte delle piccole banche acquisite o convincendo i loro clienti ad acquistare azioni o obbligazioni incerte, in operazioni rischiose.

 

Anche se è chiaro che il difetto sta nel manico, ancor oggi l’ipotizzare di tornare a banche pubbliche è considerato quasi una bestemmia. Eppure il momento di cambiare potrebbe essere questo: nel suo ultimo discorso da governatore della Banca centrale europea, prima dell’arrivo di Draghi, Trichet ha chiesto alle aziende di credito di ricapitalizzarsi in fretta e gli Stati sembrano disponibili ad aiutarle; visto che lo faranno con soldi pubblici, potrebbero riprenderne in mano anche il timone, riportandole a svolgere senza stress il loro servizio per il bene comune.

 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons