Il diavolo, roba da Medioevo?

Ma se esiste, forse possiamo ancora cavarcela, o almeno salvare la faccia.

Diceva Baudelaire, poeta tormentosamente cristiano e tormentosamente ribelle al cristianesimo, che la più grande astuzia del diavolo è di farci credere che non esiste. Molti, al contrario, sostengono che non esiste perché sarebbe troppo comodo scaricare su di lui (e demòni seguaci) le colpe degli uomini. Ma credo che questa argomentazione sia un’altra sua astuzia.

Nei nostri tempi di dilagata apostasia e indifferenza sarebbe bene ricordare che tutta la salvezza portata dal Vangelo, cioè da Cristo, è da lui operata per e col «distruggere le opere del diavolo» (I Lettera di Giovanni). Certi poi ridono: «Senti, senti, credono ancora al diavolo»; e capita che proprio così gli appartengano spensieratamente.

La cosa può sembrare ridicola ma è molto seria, tanto che ancora il Vangelo con le parole di Gesù ammonisce che non giova a nulla conquistare anche il mondo perdendo la propria anima. Ricordo una folgorante battuta di san Thomas More, nel grande film (quello inglese, non il remake americano) Un uomo per tutte le stagioni, rivolta all’ex amico che, calunniandolo per farlo condannare, ha ricevuto in ricompensa il governatorato del Galles: «Già è un cattivo affare in cambio del mondo intero, ma per il Galles!».

Un francese contemporaneo di Baudelaire, un santo col botto (si capirà che è il caso di dirlo), Giovanni Maria Vianney, parroco ad Ars (il “curato d’Ars”), invitò una guardia a dormire una volta in canonica, e questa sentì un tale incomprensibile e spaventoso fracasso da scappare a gambe levate. «È il Grappino», rideva il parroco.

Il Grappino ci prova sempre, anche oggi che ci ridono in faccia perché ci crediamo (mentre lui ride in faccia a loro, e con più successo). La partita è aperta e pericolosa tanto più quanto più è truccata ideologicamente: «Roba da Medioevo» (detto da chi del Medioevo non conosce neanche l’ombra, mentre parla di tenebre e oscurantismo); «superstizioni e residui di ignoranza popolare» (detto da chi magari va dal mago, evita il gatto nero e negli intervalli stende articoli magnifici e progressivi sui torti del papa e della Chiesa).

 

Quando uno è un grande scrittore, magari già entrato nell’Aldilà, dopo dieci anni dal transito ti fa uno scherzo ed ecco un inedito racconto-meditazione sul Grappino (pubblicato da Avvenire il 17/5/09), un’occhiata cristiana sempreverde al postmoderno, quella di Luigi Santucci; il cui libro bestseller premiato e lodato è Il velocifero, ma quelli più belli sono non per caso Orfeo in paradiso (storia di un per fortuna fallito tentativo di vendere l’anima) e un Vangelo meditato, Volete andarvene anche voi?, che non troverete più nei supermercatizzati empori librari ma ormai nelle biblioteche comunali, se non su una bancarella.

Il punto di vista spirituale di Santucci, sulla questione, è l’esatto contrario delle motivazioni antidiavolo sopra accennate e riassunte: prega il diavolo di esistere, se no siamo rovinati. «Prego tutte le sere il Diavolo. “Sei la mia ultima speranza”, gli dico. “Una sola grazia invoco da te: io ti prego di esistere. Se non ci sei, invèntati, con la tua fantasia e la tua potenza, che mi hanno insegnato essere strepitosa. Perché se tu esisti, forse noi possiamo ancora cavarcela, salvare la faccia. Non ci abbandonare: ci hanno già scombussolati con la ‘morte di Dio’, non vengano a teologizzarci che anche tu sei sprofondato in chissà quale botola e ci hai lasciati soli in scena. Dacci conferma che abbiamo sulla testa (o sotto i piedi) il Principe delle Tenebre, il Demiurgo, il Tiranno, il Plagiatore, insomma il Supremo Responsabile. E allora noi potremmo goffamente mimetizzarci in una moltitudine di mafiosi (“non c’ero, se c’ero dormivo”). Ma se per ipotesi tu non ci sei, che catastrofe, che spaventevole muso a muso con tutto quello che capita e seguita a capitare”». E chiede, Santucci, che il Diavolo «esista, per amor di Dio!».

 

Alla sua maniera giocosa e fantastica ma con grande serietà sottintesa e portante, Santucci fa il buon teologo: senza demòni i nostri peccati sarebbero spropositati, intollerabili e irredimibili, altro che felix culpa, ogni piccola défaillance sarebbe una tragedia greca e, come disse sgomento Péguy davanti alla secolarizzazione montante, le nostre miserie non sarebbero più cristiane.

È quanto accade a molti oggi: senza Dio e senza diavolo appaiono orfani, ma anche improbabili emancipati della vita che vogliono “essere sé stessi” senza mai diventarlo. Ciascuno di noi rischia ogni momento: se non vuole sapere, o rifiuta, che il male vero, quello morale, abbia un perfido ispiratore-tentatore, e un onnipotente Vincitore, prima o poi si trova come l’asino in mezzo ai suoni, e la vittima, davvero vittima di sé stessa, senza innocenza e senza riscatto; condannato a una ripetizione sempre più grigia di sé, a una disperata duplicazione di presunti diritti e piaceri già da tempo trasformati in coazione ossessiva a ripetere.

Diceva Cicerone, ben 43 anni prima di Cristo, nel III libro delle Tuscolane, che non c’è nessun vero male se non la colpa morale. Chi ha orecchie da intendere, Grappino compreso, intenda.

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