Un ex prefetto è stato arrestato a Palermo per depistaggio delle indagini del delitto Mattarella. Filippo Piritore a quell’epoca era funzionario a Palermo. Secondo l’accusa, avrebbe nascosto e fatto sparire un reperto importante per fare luce sull’omicidio: il guanto in pelle dimenticato dai killer all’interno dell’auto utilizzata per la fuga, una Fiat 127.
Il presidente della Regione Piersanti Mattarella venne ucciso il 6 gennaio 1980, in via Libertà, davanti al garage della sua abitazione. Stava uscendo di casa per recarsi a messa. Nell’auto c’erano la suocera, la moglie, Irma Chiazzese, i due figli Bernardo e Maria. Il killer esplose dei colpi mentre Piersanti si accingeva a partire. Maria, all’epoca appena diciottenne, diventerà poi segretario generale della regione siciliana. È morta nel settembre 2024, a 62 anni, per una grave malattia.
È uno dei delitti più emblematici e misteriosi della storia italiana. Venne colpito un uomo delle istituzioni ligio e rigoroso, per nulla incline ai compromessi, deciso a combattere la criminalità. Il suo corpo con le gambe distese all’interno dell’auto, una Fiat 132, con il fratello Sergio (oggi presidente della Repubblica, allora giovane e brillante docente universitario) che lo tiene fra le sue braccia, fu immortalato dalla fotografa Letizia Battaglia e rimane una delle immagini più emblematiche della storia repubblicana.
Quarantacinque anni dopo quel delitto non ha ancora dei colpevoli. Sono arrivate le condanne ai presunti mandanti, perché la sentenza ha riconosciuto l’omicidio come delitto di mafia, mentre negli ultimi anni sono stati indagati Antonino Madonia e Giuseppe Lucchese. Entrambi all’epoca giovanissimi, si sospettano possano essere stati il killer e l’autista dell’auto usata per la fuga. Solo sospetti, piste investigative, e nulla più.
Sull’auto abbandonata dai killer era rimasto un guanto, che avrebbe potuto fornire elementi di rilievo per l’individuazione dei killer. Tanto più che oggi, dopo 45 anni, le tecniche odierne, i nuovi metodi di analisi del DNA, potrebbero dare qualche certezza in più sull’identità dei killer.
Quel guanto venne preso in consegna da Filippo Piritore. Poi andò perduto. Le indagini riaperte di recente sull’omicidio di Mattarella hanno portato nuovamente in rilievo il ruolo del poliziotto, originario di Agrigento, nel frattempo divenuto questore e poi prefetto. Oggi Piritore è in pensione, ha 75 anni.
Sentito nel 2024 ha dato versioni contrastanti sullo smarrimento del guanto. Affermò di averlo affidato a un poliziotto perché lo consegnasse al sostituto procuratore Pietro Grasso (poi divenuto presidente del Senato). Entrambi non hanno mai confermato, il poliziotto quel giorno era persino in ferie. Poi fece il nome di un altro poliziotto, mai individuato. A distanza di tanti anni non è facile ricordare, sostiene l’ex prefetto. Ma le incertezze sono tante e un dato è ineludibile: quel guanto è sparito. E quel guanto – preso in consegna proprio da Piritore che all’epoca aveva 29 anni – avrebbe forse permesso di dare un nome e un volto a chi lo aveva utilizzato.
Di quel guanto rimane la foto: è ben visibile sotto il sedile del lato passeggero. Venne annotato e descritto negli atti, ma poi sparì. Non arrivò mai alla Polizia scientifica e nessuno seppe più dove si trovava.
In Sicilia – e non solo – alcuni episodi sono difficili da dimenticare. Testimoniano dell’impegno pressante dello Stato, ma anche della presenza di un anti-Stato che spesso riesce ad annidarsi tra i gangli delle istituzioni.
Alcuni episodi sono difficili da dimenticare. La sparizione del guanto della Fiat 127 fa il paio con la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino e con i depistaggi che caratterizzarono le indagini successive. Ancora oggi ci si chiede perché il magistrato non venne sentito dai colleghi di Caltanissetta che indagavano sul delitto di Giovanni Falcone, avvenuto 57 giorni prima. Trascorsero due mesi e Borsellino attese invano, ma nessuno parlò con lui. Alla sua morte, con l’esplosione che squarciò tutta la zona di via D’Amelio, sparì anche l’agenda rossa di cui il giudice non si separava mai e dove annotava tutto. Chi intervenne sul luogo del delitto riuscì a prelevare dal sedile dell’auto la sua valigetta, ma misteriosamente quell’agenda non c’era.
Ricordiamo il “corvo” di Palermo, nel 1989, con le false accuse dirette a Giovanni Falcone, di aver manovrato «un killer di Stato». Le notizie diffuse ad arte fanno palesare che chi ha parlato proviene dal “Palazzo” perché in possesso di informazioni riservate, destinate solo a chi conduce le indagini.
Se poi il ricordo si sposta ad altri episodi, all’Antelope Cobbler, misterioso collettore delle tangenti dello scandalo Lockheed, esploso in Italia nel 1976, per spostarci a Gladio e soprattutto alla pericolosissima e troppo in fretta dimenticata “Loggia massonica P2”.
C’è un anti-Stato che spesso viaggia parallelamente allo stato e che cerca di inquinare i gangli delle istituzioni. E spesso ci riesce. Certamente in misura maggiore rispetto a ciò che emerge, perché tanti fatti rimangono sconosciuti e dimenticati. Cosa ci sia dietro tante indagini dimenticate, dietro alcune assoluzioni inspiegabili o indagini che si arenano, è difficile da comprendere.
E non si comprende il presente se si dimentica il passato.