Il compleanno di Gandhi

143 anni fa nasceva nello Stato indiano del Gujarat il Mahatma, un uomo "dalla grande anima", destinato a cambiare il suo Paese e a divenire un modello di pace per tutti
Gandhi

Il 2 ottobre del 1869 a Porbandar, un remoto villaggio dello stato del Gujarat nell’India Centro-settentrionale, nasceva Mohandas Karamchand Gandhi. Sarebbe diventato un avvocato, ma soprattutto avrebbe cambiato l’India, dandole l’indipendenza, senza mai odiare il colonialismo inglese e, soprattutto, i suoi protagonisti.
 
Probabilmente non c’è stata persona nel XX secolo altrettanto famosa, riconosciuta in tutto il mondo come la "grande anima", il Mahatma. La sua vita, più che le sue parole, hanno insegnato l’arte dell’ahimsa, la non violenza, un valore che la religione giainista predica da secoli prima di Cristo.
 
C’è chi accomuna Gandhi a San Francesco e, probabilmente, non ha torto. Entrambi sono icone della pace, del rispetto e dell’amore verso ogni uomo, di rivoluzioni portate nel loro mondo in momenti e contesti diversi, ma con lo stesso coraggio e lo stesso carisma.
 
Anche Gandhi, infatti, rappresenta un dono di Dio per l’umanità, che non può essere più la stessa dopo di lui. Sono continuate le guerre e gli odi, anche dopo la sua morte che fu un martirio. Ma il mondo è diverso perché chi vuole costruire la pace sa di avere un modello che ha offerto la vita per costruirla.
 
Un particolare mi ha colpito in questi giorni. Nel 1947, pochi mesi prima di morire, il Mahatma scriveva sulla rivista Harijans: «La coscienza della presenza viva di Dio in ciascuno è senza ombra di dubbio il primo requisito [della non violenza]»[1]. Negli stessi mesi, una giovanissima maestra trentina scriveva ad alcune giovani amiche: «Puntare sempre lo sguardo nell’unico Padre di tanti figli. Poi, guardare le creature tutte, come figli dell’unico Padre. Oltrepassare sempre col pensiero e con l’affetto del cuore ogni limite posto dalla natura umana e tendere costantemente, per abitudine presa, alla fratellanza universale in un solo Padre: Dio»[2].
 
Era Chiara Lubich. Anche lei avrebbe vissuto per la pace, la non violenza, ma soprattutto per l’unità della grande famiglia umana. Allora era all’inizio della lunga strada che l’avrebbe portata a fondare il Movimento dei Focolari. Lo Spirito soffia davvero dove vuole, spesso nello stesso momento e a migliaia di chilometri di distanza, in persone che non si conoscono e che non si sarebbero mai incontrate, ma che fanno parte dello stesso grande disegno che il Padre ha sull’umanità.
 
Nel 2001 Chiara Lubich ha ricevuto a Coimbatore, nel Sud India, il "Premio Gandhi – Difensore della Pace 2000". Esordì nel suo intervento di accettazione con queste parole: «Nella terra di Gandhi, patria della non-violenza e della pace, non avrei potuto sperare niente di meglio (che ricevere questo premio). Quale sarà il mio atteggiamento da ora in poi? Onorerò questo riconoscimento che avete voluto consegnarmi, lavorando con maggior impegno, fino a quando Dio vorrà concedermi vita, per ravvivare l’unità nelle persone e nei gruppi che incontro e nelle città e nei Paesi che visito: l’unità, il carisma caratteristico del mio Movimento, che è una garanzia di pace».
 
 



[1] Mahatma Gandhi, Harijans, 26-9-1947, pag. 209.

[2] C. Lubich, L’arte di amare, Città Nuova, Roma 2005, p. 29.


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