Il Ciaikovskji di Temirkanov

Perugia, 62° Sagra Musicale Umbra, Teatro Morlacchi. Si deve al lavoro instancabile di un musicista ed organizzatore come Aldo Bennici se la Sagra 2007 si è aperta con l’Orchestra Filarmonica di san Pietroburgo diretta da Yuri Temirkanov. Questo maestro schivo, che dirige senza bacchetta, a gesti ampi e precisi, ottiene da un complesso che sa ancora cosa sia la disciplina musicale suoni di una ricchezza unica, pastosi e vibranti, vivi di colori forti eppur teneri come le icone che passano per la mente ascoltando, dopo anni, la Grande Pasqua Russa di Rimskij-Korsakov con i suoi accenti liturgici e popolareschi, le musiche wagneriane: violini nelle zone sovracute come filamenti di luce, pause intense ove il silenzio continua il discorso musicale (Lohengrin), grandeggiare di ottoni sotto lo zigzagare agitato degli archi nel Tannhäuser: mai una nota perduta o acciaccata, mai un suono sgarbato. Ma la rivoluzione è nella Sinfonia n. 6 Patetica di Ciaikovskiji. Temirkanov toglie la lacrimosità ad effetto ingiustamente addebitata a questo testamento musicale e vitale dell’artista, e cadenza una pagina struggente di diario intimo con asciuttezza e rigore esemplari. Il primo tempo è un pianto disperato, la certezza di un mondo che sta per crollare: una tragedia universale, non solo individuale: è l’amore che condanna a morire ogni uomo, anche l’autore: egli lo sa e non lo vuole. Con un buio profondo (fagotto e contrabbassi) inizia il tema patetico chiudendosi con clarinetto, timpano ed ottoni in una marcia funebre mestissima. Ma ad esso si reagisce con uno scatenamento ritmico, la falsa gioia dell’illusione, come dice poi il valzer spezzato (terzo tempo) in cui i colpi di timpano annunciano la fine vicina. Si è sull’abisso della morte nell’Adagio lamentoso dell’ultimo movimento, ad essa Ciaikovskij va incontro insieme al passo scuro dei contrabbassi, precipitandovi come in un oblio. Dopo una intepretazione tanto rispettosa delle intenzioni dell’autore, così pudica nel dire la verità senza offendere, si resta abbagliati da come un direttore ed un’orchestra possano, affiatati come sono, penetrare nell’anima di un grande, come Ciakovskij. E grati. L’ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO Roma, Teatro dell’Opera. Teatro strapieno, si direbbe in delirio, per questo complesso multietnico, appena nato nel quartiere Esquilino, che ha al suo attivo un film, due dischi e una lunga serie di tournée. Fa spettacolo in modo affascinante. È la naturalezza, la spontaneità dei musicisti, la varietà dei ritmi e delle espressioni sonore ad intrecciarsi con una comunicabilità che arriva diritta alla gente. Quando poi, affrontano una reinterpretazione del Flauto magico mozartiano, penso all’aria di Tamino – chitarra e fischio di un musicista cubano – nasce quella atmosfera di silenzio sospeso che è dei grandi momenti musicali. Mozart ne avrebbe goduto, eccome! Gran bella musica. Un invito allo svecchiamento anche al nostro teatro d’opera?

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