Il cercatore di armeni

A colloquio con Pietro Kuciukian, un "militante della memoria".
Articolo
Si sente cittadino italiano al 100 per cento (sua madre era una trentina di Arco) e al 100 per cento armeno (suo padre, suddito ottomano, era nato a Costantinopoli nel 1904), ma aspira ad una patria più vasta, il mondo. Frutto di vagabondaggi per il globo alla ricerca delle comunità armene disperse, i suoi libri parlano di terre perdute, scomparse e ritrovate. È il giornalista e scrittore Pietro Kuciukian, console onorario della Repubblica di Armenia in Italia e titolare dell’ufficio consolare di Milano, dove vive con la moglie Anna Maria. Come medico chirurgo, dopo il terremoto in Armenia del 1988 si è recato nelle zone sinistrate, lavorando all’installazione di un ambulatorio a Spitak e di due scuole a Stepanavan.

 

A lei, figlio di un sopravvissuto al genocidio del 1915, chiedo qualche briciola del romanzo autobiografico, mai pubblicato, che giace in un suo cassetto…

«Mio padre, Ignadios, è venuto in Italia nel 1915, durante le persecuzioni ad opera dei Giovani Turchi. Ha studiato a Venezia nel collegio dei padri mekhitaristi, dove anch’io avrei studiato. Degli eventi passati lui non parlava mai. Gli ho strappato il racconto di un solo episodio che risale al 1896, quando la furia omicida del sultano Abdul Hamid si è abbattuta sugli armeni di Costantinopoli: circa 6 mila le vittime. Il nonno con tutta la sua famiglia si era nascosto in cantina. Hanno bevuto per molti giorni la loro orina. Sono stati salvati grazie a un amico turco che dirottava i massacratori curdi inferociti, spergiurando che lì non abitava nessun armeno. Questo racconto è alla base della mia ricerca dei giusti che hanno aiutato gli armeni. Ho cercato poi di ritrovare le radici della mia famiglia viaggiando da Istanbul all’Anatolia, l’Armenia storica».

 

A proposito dei giusti per gli armeni, che valore dà a questo riconoscimento?

«Il giusto che fa parte del nemico e che ti ha salvato costituisce la rottura dello schema amico-nemico, contribuisce alla possibilità di riconciliazione tra i popoli. Dopo che Brandt si è inginocchiato nel ricordo della Shoah, gli israeliani si sono recati sempre più numerosi in Germania. Mischa Wegner, figlio di Armin, un giusto per gli armeni, ha rotto il tabù allorché, recatosi in Armenia, è stato abbracciato da una folla riconoscente, anche se era figlio di un ufficiale originario di un Paese – la Germania – che all’epoca del genocidio era alleato della Turchia e aveva sostenuto il progetto di pulizia etnica degli armeni in Anatolia, un territorio che avevano abitato da più di 3 mila anni».

 

Cosa la spinge a girare per le comunità armene, raccogliendo piccole e grandi storie?

«La volontà di capire, di immedesimarmi nelle storie altre, che nel caso armeno hanno un unico filone, il genocidio e lo sradicamento da una terra considerata la culla dell’umanità, l’Eden. Mi spinge la convinzione che la condizione dell’uomo sia quella del viandante. È una ricerca, questa, che ha cambiato la mia visione del mondo, ora imperniata sulla compassione per me e per il mio prossimo, ma anche per quegli operatori del male che in realtà non sanno di fare, prima di tutto, male a sé stessi».

 

Anche alla fine di “Giardino di tenebra” lei auspica che fra gli uomini vi sia almeno amicizia se non fraternità, compassione se non amore…

«Visione realistica la mia in quanto nel Vangelo si usa la parola amore non in maniera astratta. Sono i comportamenti che contano, le scelte di fronte all’altro e mi sembra che debba predominare la compassione. Inoltre ama il prossimo tuo come te stesso significa, tra l’altro, la consegna di volersi bene per poter voler bene. Solo se ci vogliamo bene, ci concediamo delle soddisfazioni e proviamo un po’ di compassione per noi stessi, sentiamo ciò che ci accomuna agli altri nei dubbi, nelle inquietudini, nelle domande di fondo. Solo così possiamo veramente metterci nella condizione di vedere l’altro, di leggere i suoi bisogni, di trovare la forza di reagire di fronte alle ingiustizie, di scegliere comportamenti di aiuto. Quando mi farò carico veramente del dolore dell’altro avrò compassione del genere umano e di me stesso, e anche di coloro che, in nome del bene, hanno compiuto crimini efferati. Siamo di fronte al grande interrogativo che riguarda la mescolanza di bene e di male che ci definisce».

 

Cosa caratterizza gli armeni rispetto ad altri popoli e quale apporto tipico lei ritiene possano dare alla comunità mondiale?

«L’identità armena non si è mai radicata su un territorio stabile. Si fonda su una appartenenza culturale, espressa nell’adesione al cristianesimo delle origini, nella creazione della lingua scritta, nella conquista dei diritti umani. Mi ha colpito la forza delle donne, la centralità della famiglia, il valore che gli armeni sino ad oggi danno all’educazione e all’istruzione dei figli, la conservazione della cultura da parte della Chiesa e specialmente il cosmopolitismo, che permette agli armeni di adattarsi alla realtà di ogni Paese dove mettono radici».

 

Lei è stato definito, per l’ostinato e continuo cercare in giro per il mondo testimonianze del suo popolo, un militante della memoria. Perché è così necessario ricordare?

«Per me la memoria è il futuro, non nel senso che ricordare il male e valorizzare il positivo che c’è nella storia ci tutela o ci garantisce, ma nel senso che ci mette in grado di agire nel presente, di cogliere i segni premonitori del male, di cambiare direzione, di intraprendere strade nuove».

 

Oggi si parla di più degli armeni e del genocidio. Perfino nel mondo culturale turco c’è chi ha sentito il dovere di rompere il tabù del silenzio. Cosa si aspetta dall’attuale stagione?

«Mi batto non per la giustizia (quella terrena è carente, amministrata da leggi non sempre giuste), ma per la verità, la grande assente dei nostri giorni, asservita ai media, strumentalizzata. Ricerco la verità, quella scomoda, ma non mi aspetto che trionfi. È un percorso lungo, impegnativo, che non vedrò concluso».

 

Lei ha un sogno?

«Sì, ed è quello di portare in Armenia le ceneri di un giusto turco, per dare il mio contributo a un futuro di dialogo e riconciliazione tra i due popoli, per sostenere l’impegno di molti esponenti della società civile turca che non condividono l’occultamento della verità, per porre un freno ai nazionalismi alimentati dalle scelte politiche interne degli Stati».

 

PIETRO KUCIUKIAN è nato ad Arco (Trento) il 18 gennaio del 1940. Molti i volumi pubblicati di argomento armeno. Tra questi, per le edizioni Guerini e Associati di Milano: Le terre di Nairì. Viaggi in Armenia (1994), Viaggio fra i cristiani d’Oriente. Comunità armene in Siria e in Iran (1996), il catalogo bilingue Armin T. Wegner e gli armeni in Anatolia, 1915 (1996), Dispersi. Viaggio fra le comunità armene nel mondo (2° ed.1999), Voci nel deserto. Giusti e testimoni per gli armeni (2000, Premio S. Vidal a Venezia per il dialogo fra i popoli e le religioni), Giardino di tenebra, viaggio in Nagorno-Karabakh (2003), La terza Armenia. Viaggio nel Caucaso post-sovietico (2007). Ha fondato, assieme a Gabriele Nissim, il Comitato per la foresta mondiale dei giusti (www.gariwo.net). Nel gennaio del 2003 gli è stato conferito dal comune di Milano l’Ambrogino d’oro per la sua attività nella ricerca dei giusti per gli armeni.

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