Il Cep di Prà

Un quartiere di Genova segnato da disoccupazione, immigrazione e solitudine, oltre che edilizia pubblica in stato di abbandono. Eppure i semi di speranza ci sono, secondo don Giorgio Rusca, il parroco
Cep di Prà

I primi palazzi sorsero verso la fine degli anni sessanta; poi, col passare degli anni il quartiere si è ampliato verso le alture di Prà. Una rete disordinata di strade che portano da nessuna parte, giri e ti ritrovi nuovamente nello stesso posto. Non si riesce a trovare un supermercato, un’insegna che lo indichi. Poi scopri che esistono dei centri ricreativi, se li vogliamo chiamare così. Il nome del quartiere è Centro edilizia popolare, ma per brevità di tutti è il Cep.

Il Cep di Prà è un quartiere appoggiato alla collina di Genova, costruito in fretta durante la fine del boom economico italiano, in concomitanza col grande incremento demografico del capoluogo, dovuto alla forte immigrazione dalle regioni meridionali, che spinse il comune a costruire nuovi spazi abitativi sulle colline. Spazi che prima della cementificazione erano ad uso agricolo.

Ora quei palazzoni, in gran parte di proprietà del comune, sono abitati da persone che hanno perso il lavoro, italiani e forestieri. Giù sotto c’è la città di Genova, che ha perso oltre 7mila occupati negli anni peggiori della crisi, leggi Ilva, Piaggio, Ericsson o se preferisci Fincantieri e ancora Carige, e già conta tra i futuri poveri quasi 40mila giovani tra i 15 e i 25 anni che non studiano e non lavorano. Gli altri giovani hanno lasciato la città. I numeri dicono che questi superano l’immigrazione straniera in arrivo.

In Liguria il rischio povertà è passato dal 21,3% al 23,9% dal 2007 al 2016. Forte è la disuguaglianza di reddito che divide la popolazione per residenza, età, genere e provenienza: il reddito medio imponibile del Lido è quasi due volte il valore medio comunale e quasi tre volte quello di Ca’ Nuova dove si trova il Cep. Il reddito medio imponibile nella fascia d’età 45-64 anni è una volta e mezzo quello nella fascia 25-44 e circa quattro volte e mezzo il reddito nella fascia 15-24 anni. Il reddito medio imponibile delle donne è poco superiore alla metà di quello degli uomini. Il reddito imponibile medio dei cittadini stranieri è appena il 60% del reddito medio complessivo di tutti i residenti a Genova.

I disoccupati nel comune sono cresciuti da 11 mila nel 2007 a 24 mila nel 2015. I dati, riferiti a tutta l’area metropolitana, ci dicono che il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni è del 36% nel 2015, tra i 25 e i 34 è del 16%, a fronte di un valore complessivo dell’8%. E l’indice di disagio sociale, calcolato sui dati del censimento 2011, raggiunge il valore molto alto di 9,05 nel quartiere di Ca’ Nova. I dati sono del Centro Studio “Genova che osa”.

Cep di Prà
Cep di Prà

Il Cep, inizialmente abitato soprattutto da meridionali, ora è popolato da immigrati di quasi tutte le etnie che formano un potenziale mix esplosivo. Centro edilizia popolare o come dice un vecchio abitante “Centro elementi pericolosi”, per indicare un quartiere che conosce il disagio e che è abitato da oltre seimila persone. Qui le storie di disagio si incontrano e si moltiplicano più ci si addentra nei palazzoni, come l’ultima di pochi giorni fa quando un uomo di 41 anni è finito in ospedale per delle bastonate prese da un marocchino di 34 anni. Motivo: l’immigrazione. «Mi ha stupito il motivo della contesa, in quanto nel quartiere sono presenti molte persone che sono migrate nel corso degli anni: meridionali, istriani, albanesi, rumeni, ucraini, marocchini, nigeriani… trovare dei genovesi è difficile», ci racconta don Giorgio Rusca parroco da cinque anni nella chiesa Maria Madre del Buon Consiglio.

don Giorgio Rusca
don Giorgio Rusca

«In questi anni ho potuto riscontrare un significativo calo demografico conseguenza di una minore natalità, ma anche di un numero sempre maggiore di alloggi vuoti: su 3.050 appartamenti presenti nel territorio della parrocchia, l’anno scorso ve ne erano circa 330 vuoti, la maggior parte dei quali di edilizia pubblica; tra quelli abitati vi sono alcuni con infiltrazioni nei soffitti, muffe alle pareti, finestre rotte, pavimenti che saltano, scale e corridoi dei condomini senza luce, con fili scoperti, infiltrazioni…; i pochi esercizi commerciali rimasti fanno fatica a rimanere aperti; poca cura del verde pubblico e della pulizia delle strade… «Le persone si sentono abbandonate dalla società e vivendo in queste situazioni si lasciano andare e non cercano di “risorgere”, hanno perso la speranza nella politica».

don Giorgio Rusca
don Giorgio Rusca

La mancanza di lavoro, l’altruismo spesso sostituito da una concezione affaristica (se non ho un tornaconto personale ed economico non faccio nulla), fanno sì che spesso le persone non sanno cosa fare durante la giornata e quindi si “perdono” nelle zone oscure del quartiere dove la droga e l’alcol diventano il passatempo, la possibilità di non pensare ai propri problemi.

Ma nonostante questo don Giorgio parla di segni di speranza: «In questi anni nel quartiere ci sono state molte iniziative per aiutare il dialogo e la coesione sociale: molte associazioni e comitati di quartiere si sono adoperati in questo. Occorre passare da una cronaca che evidenza le ombre a una cronaca che sottolinea le belle cose, l’impegno di tante persone che con dedizione e amore amano il quartiere e lavorano per un presente e un futuro migliori».

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons