Il campione

Un bel film sullo sport, sulla vita, sul prezzo del successo, su come curare gli aspetti fondamentali per la vita.

C’è un film interessante al cinema, un piccolo film italiano che offre spunti per riflettere. Parla di calcio, anzi no, non esattamente almeno, o non solo, perché il tema principale è l’importanza di un rapporto autentico in un mondo dove molti mirano al successo ed è un tutto un fiorire di relazioni basate sul tornaconto personale, coi ladri sempre in agguato quando c’è una preda da spolpare. Il calcio c’entra – e il mondo del calcio nel film è fotografato in modo piuttosto preciso – perché il protagonista de Il campione, esordio alla regia di Leonardo De Agostini, è un fuoriclasse che gioca nella Roma: un giovanotto del quartiere popolare del Trullo, che prima era un disgraziato cresciuto senza padre, senza istruzione e con una madre in gamba ma scomparsa troppo presto. Un diciannovenne che ora, per volere degli dei, guadagna 3 milioni di euro solo di contratto, più due di bonus facili, ma con gli sponsor e i diritti di immagine – spiega un suo manager, viscidamente e spavaldamente parassita – si può schizzare addirittura a undici.

Si chiama Christian Ferro (ottima l’interpretazione del giovane Andrea Carpenzano) e ricorda figure un po’ alla Balotelli, alla Cassano, ma è un misto di tanti calciatori sregolati, vedi Best, vedi Gascoigne, il tutto condito di tanta, realistica fantasia. È forte, segna un sacco di goal, può cambiare le sorti di un incontro, può portare tanti punti e tanti soldi nelle casse della società, ma fuori dal campo è un disastro: discoteche, risse, addirittura furti nei negozi, per dimostrare ai suoi “amici” di non essere cambiato, insomma, per il presidente giallorosso è un bel problema, oltreché una bella fonte di guadagno.

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La preoccupazione del patron è che la sorgente di denaro si asciughi troppo in fretta e allora ecco l’idea, figlia della scaltrezza e della disperazione, di far prendere la maturità a questo ragazzetto milionario, mica per il suo bene, ci mancherebbe, solo per dare una diversa immagine di lui alla stampa, magari facendole allentare la pressione sul ragazzo, e così, si spera, farlo rendere di più in campo. Partono i colloqui con diversi professori, tutte facce di un’Italia in crisi, e viene scelto un certo Valerio (bravo anche Stefano Accorsi che lo interpreta), uno che di calcio non sa nulla, e al primo incontro col ragazzo, quando il presidente deve ancora scegliere l’insegnante per il suo talento sregolato, attacca il fuoriclasse perché ride stupidamente senza motivo, e tutti parlano al suo posto, ma lui non parla mai. È fatta, intuisce il numero uno della società capitolina: sarà lui, questo docente con la barba incolta e nessun timore reverenziale verso quel privilegiato che per lui è un autentico sconosciuto, il professore adatto al giovane. E la scelta si rivelerà azzeccata, perché Valerio, che povero lui sa bene cosa sia la sofferenza, osserverà con attenzione le ferite del campione e saprà come disinfettarle. Gli farà capire quali sono gli ingredienti per vivere al meglio la vita: affetti, persone sane accanto che tengono all’uomo e non al suo portafoglio, e un robusto sviluppo della personalità. Capacità di esprimere le emozioni positive e controllare quelle pericolose. Ascoltarsi, arrivare alla consapevolezza e all’ordine interiore.

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E siccome Christian Ferro sembra stupido ma non lo è per niente, vedere il suo cambiamento può far bene a tanti giovani, visto che un film del genere è destinato soprattutto a loro. E come tale funziona, perché insieme ai buoni sentimenti, a un bel misto di azione, di dramma e commedia, questo film prodotto da due giovani importanti del cinema italiano come Sydney Sibilia e Matteo Rovere, può spiegare ad adolescenti e non solo come ci si possa sentire soli e abbandonati anche quando si posseggono molti denari e quali sono i pericoli di una ricchezza economica non sostenuta dai muscoli dell’anima. Il campione offre a tanti giovani, mentre li coinvolge su un terreno che conoscono bene, qualche buon consiglio su come curare alcuni aspetti fondamentali nella vita, e lo fa senza rinunciare alla scene di campo, di calcio giocato: si vedono i goal e ci sono un sacco di camei dei volti noti del calcio italiano in tv: giornalisti, commentatori, ex calciatori e trasmissioni notissime agli appassionati. C’è tutto il ribollire settimanale di calcio in tv, insomma, ma dentro questa specie di ricostruzione della normalità, dentro questo film che sembra la nostra televisione sempre accesa sul calcio, e in cui molti avranno la sensazione di sentirsi a casa, rilassati, così somiglianti ai tanti che impazziscono quando Christian Ferro gli compare davanti in carne e ossa o quando segna un goal e li fa saltare sulla poltrona e sul seggiolino dello stadio, abbiamo la possibilità di guardarci un attimo allo specchio e accorgerci che le energie e le emozioni che spendiamo in quello che è prima di tutto un grande business per pochi, sono davvero esagerate, e raccontati così diventiamo un po’ ridicoli.

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A non fare una bella figura, nel film Il campione, in sala dal 18 aprile, insieme al padre del giovane Ferro che dopo averlo abbandonato torna a vivere nella sua villa quando è famoso, e gli ruba pure 150 mila euro con la scusa della fondazione della mamma del ragazzo morta di tumore, e insieme a tutti quelli che lo trattano come una gallina dalle uova d’oro, ma sono pronti a gettarlo quando i conti non tornano più, ci siamo anche noi, i cosiddetti appassionati, i cosiddetti tifosi, anche un po’ vittime di una dipendenza, però, e anche clienti poco consapevoli di una grande industria.

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