Il 27 novembre papa Leone XIV partirà per il suo primo viaggio apostolico che lo porterà in Turchia e poi in Libano. Già ipotizzato durante il pontificato di Francesco dietro invito del patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il viaggio intende commemorare i 1700 anni dal primo Concilio ecumenico della Chiesa nei luoghi in cui si svolse nel 325, mentre nella terra dei Cedri papa Prevost avrà occasione di toccare con mano le tensioni di una regione segnata dalla guerra e le attese delle genti che la abitano.
In anticipo sulla sua partenza, sorge però una domanda: può un evento così remoto come quello di Nicea (l’attuale Iznik) avere delle conseguenze anche oggi, in questo nostro tempo per tanti versi drammatico, nel quale è messa a rischio la stessa identità dell’uomo? In effetti, senza il Credo unico definito in quell’assise (e che ogni giorno dovrebbe interpellarci), la Chiesa continuerebbe ad essere esposta al rischio di ridurre Cristo a un filantropo propagatore di una morale e non al Figlio di Dio incarnato, che col suo sangue ha redento l’uomo. Tale era stato l’errore di Ario, che, negando la divinità di Cristo, lo riduceva a mediatore tra Dio e l’uomo, svuotando la realtà dell’incarnazione cosicché divino e umano restavano irrimediabilmente separati. Ma se Dio, Padre che ci vuole tutti suoi figli, non si è fatto uomo, come potrebbe l’uomo, per partecipazione, diventare Dio?
Questa verità il papa pellegrino di pace non mancherà di riproporre il 28 novembre a Iznik con parole e motivazioni adatte al nostro tempo. Qui vorrei soltanto accennare alla cornice storica di un evento come il primo Concilio ecumenico che è stato capitale per il cristianesimo.
Antica capitale dell’Anatolia e, per i cristiani, terza città santa del mondo dopo Gerusalemme e il Vaticano, Nicea-Iznik è situata a sud di Istanbul da cui dista un’ora viaggiando in mare con il traghetto e due ore se in auto. Insediamento preistorico e, a partire dal VII secolo, ellenistico, romano, bizantino e ottomano, l’attuale tranquilla cittadina sul lago omonimo, il quinto più grande della Turchia, apparirebbe alquanto modesta rispetto ai suoi trascorsi storici se non fosse da considerarsi quasi un museo a cielo aperto per le cospicue tracce del suo passato sopravvissute ai catastrofici terremoti e alle distruzioni dovute ai conflitti storici.
Nel 7 a.C. la città, rinnovata da Antigono Monoftalmo, uno dei generali di Alessandro Magno, prese il nome di Antigoneia. Dopo la morte del grande condottiero, se ne impossessò il rivale Lisimaco, che la rinominò Nicea dal nome della sua prima moglie. Dominio poi di Bisanzio, divenne la capitale dello Stato selgiuchide dopo la conquista operata da questa dinastia, assumendo il nome attuale, che in turco significa “Traccia di Nicea”. Nel XIV secolo importante centro educativo, culturale, artistico e commerciale dove si formarono molti scienziati e artisti dell’impero ottomano, la città visse un periodo d’oro grazie alla sua posizione privilegiata sulla rotta carovaniera da Istanbul all’Anatolia.
Fra i monumenti antichi disseminati in un tessuto urbano che rivela la griglia regolare di età ellenistica, spiccano le mura di epoca tardo romana con rifacimenti bizantini: estese quasi per cinque chilometri, nei tratti meglio conservati sono alte 10-13 metri, a loro volta circondate da un doppio fossato con più di cento torri dislocate in punti diversi. Quattro le principali porte d’accesso come l’imponente Porta di Istanbul, ma sono state individuate altre dodici porte minori. E poi i ruderi di un acquedotto, di un ippodromo, di un teatro capace di quindicimila spettatori. Ancora da ritrovare i resti del Palazzo Senatorio dove, stando alle fonti storiche, si svolse il primo Concilio ecumenico voluto e presenziato da Costantino.
Di epoca bizantina, invece, sono le fondamenta della chiesa della Dormizione della Madre di Dio. Edificata attorno all’800 d.C. e ricostruita in seguito a un terremoto che la rase al suolo verso la metà dell’XI secolo, è l’unica chiesa che non fu mai trasformata in moschea. L’imperatore bizantino Teodoro I Lascaris, che fondò l’impero di Nicea in seguito alla conquista dei crociati nel 1204, venne seppellito qui. Sono stati inoltre ritrovati i ruderi di altre quattordici chiese, tutte però successive all’epoca del primo Concilio.
Per l’epoca ottomana si segnala la Moschea Verde dalle proporzioni armoniose con il suo minareto rivestito di piastrelle smaltate di turchese, verde e viola, antesignane delle pregiate ceramiche di Iznik famose in tutto il mondo islamico; come pure la Moschea di Santa Sofia, detta anche Moschea di Orhan dal sultano che dopo il 1331 trasformò in moschea questa chiesa del IV secolo ricostruita nel VI da Giustiniano. Qui si tenne il 7° Concilio cristiano (il 2° di Nicea) nel 787, alla fine del periodo iconoclasta nell’Impero bizantino.
Infine nel lago Iznik, l’antico lago Ascanio, le ricerche effettuate negli ultimi anni hanno localizzato a venti metri dalla riva e a non più di due sotto il pelo dell’acqua, tanto che sono facilmente visibili, le fondamenta di una basilica del V secolo, sorta probabilmente su una chiesa precedente eretta a sua volta, nel 325, sulla tomba di san Neofito, giovane martirizzato sotto Diocleziano: forse quella nella quale i vescovi del primo Concilio di Nicea avrebbero pregato? Proprio qui, nello scenario suggestivo di un lago largo quasi quanto il nostro Garda, davanti alla basilica sommersa, papa Leone presenzierà ad un incontro ecumenico di preghiera al quale dovrebbe intervenire anche il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. E ciò in coincidenza con la festività di sant’Andrea, fratello di Pietro.