Il calcio secondo Cruijff: arrivederci genio

La scomparsa del grande campione stroncato da un tumore a 68 anni. Vincitore di tre Palloni d’oro è stato giudicato secondo miglior calciatore del XX secolo dietro Pelé, secondo la classifica stilata nel Duemila dall’International federation of football history&statistics
Cruijff

«Ero un giocatore di talento ma non capivo nulla di calcio. Lui mi ha aperto un mondo affascinante, un film che ho interiorizzato. Parlavo coi miei figli, che non hanno conosciuto Cruijff, cercando loro di spiegare chi era. L’ho paragonato al professore di una materia che ti piace, un maestro di cui non vedi l’ora che faccia lezione. Era un tipo che ti diceva tutto il contrario di quello che avevi sentito per tutta la vita: ti dicevano che perdevi perché non correvi, ma un giorno arriva lui e ti spiega che perdi perché corri troppo. Ci ha fornito una grammatica per capire il calcio. Il Barcellona va oltre Johan, ma è evidente che è stato lui a rivoluzionare la mentalità del club. È arrivato e ha detto: "Faremo così". Una cosa difficilissima perché bisogna avere una fiducia immensa in quello che si pensa per convincere gli altri. È stato un privilegio poter approfittare della sua generosità e condividerne le conoscenze».

 

È un ricordo commosso quello rilasciato ai microfoni di Rac1 da Pep Guardiola su Johann Cruijff, suo mentore scomparso a 68 anni lo scorso 24 marzo. E chi meglio di mister Guardiola poteva aprire un doveroso tributo dedicato a uno dei più straordinari talenti tecnico-tattici della storia del calcio. D’altra parte fu proprio il geniale olandese a fare esordire Guardiola al Barcellona nel dicembre 1990 ad appena 19 anni: allievo prediletto del grande Johan, Guardiola, prima di sedere oggi sulla blasonatissima panchina di un Bayern Monaco che punta alla vittoria della Champions League, ne avrebbe poi declinato il pensiero tattico ai limiti della perfezione proprio al Camp Nou del suo Barcellona, allenato per farne un laboratorio leggendario di evoluta strategia tattica, capace di spingere nel 2009 i catalani alla vittoria del loro primo mitico “triplete” (Coppa del re, Liga spagnola e Champions League).

 

È passando dal Camp Nou di Barcellona che la carriera di Cruijff è divenuta leggenda ed è al Camp Nou che, lo scorso sabato 26 marzo, in tribuna d’onore si sono presentati tutti gli ex presidenti del club blaugrana per omaggiare la memoria del grande Johan, rivoluzionario del gioco più praticato al mondo. Nato ad Amsterdam il 25 aprile del 1947, Hendrik Johannes Cruijff, spesso scritto Cruyff al di fuori dei Paesi Bassi, non è stato infatti solo uno dei migliori giocatori della storia, ma l’interprete più emblematico di quello che è passato agli archivi come “calcio totale”, con cui l’Ajax e l’Olanda di Rinus Michels cambiarono radicalmente la stessa idea di impostazione tattica del gioco del calcio tra la seconda metà degli anni '60 e la prima metà degli anni '70.

 

Dal quartiere popolare periferico di Betondorp, vissuto tra il negozio di frutta e verdura della famiglia e le infinite partite di calcio, Johan scalò le giovanili dell’Ajax di Amsterdam fino a guadagnarsi il soprannome di “profeta del gol”, che ispirò il titolo del film-documentario su di lui diretto da Sandro Ciotti, ma anche di “Pelé bianco” secondo Gianni Brera. Una carriera divisa per lo più tra il capoluogo olandese e, dal 1973, Barcellona, passando per una fugace presenza da acciaccato nel Milan, il 16 giugno 1981, e qualche altra breve esperienza, per un totale di 402 gol in 716 partite ufficiali tra nazionale olandese e squadre di club. E pensare che alla visita di leva era stato riformato per piedi piatti e una caviglia malformata…

Vincitore di tre Palloni d’oro ('71, '73 e '74) è stato giudicato secondo miglior calciatore del XX secolo dietro Pelé, secondo la classifica stilata nel Duemila dall’International federation of football history&statistics: atleticamente portentoso e dal portamento di palla sontuoso, perfettamente ambidestro, benché non ricoprisse un ruolo definito poteva essere considerato un vero e proprio regista avanzato tra gli attaccanti. Giocatore carismatico a tutto campo, dotato di una raffinata tecnica individuale abbinata a impressionante velocità, era solito partire palla al piede con dribbling efficacissimi capaci di renderlo spesso immarcabile.

Se la cosiddetta “Cruijff turn”, giravolta capace di mandare fuori giri buona parte dei difensori, divenne un suo marchio di fabbrica, il mondiale di Germania Ovest 1974 rivelò al mondo l’applicazione del cosiddetto “totaalvoetbal”, sistema di gioco in cui un calciatore che si sposta dalla propria iniziale posizione è sostituito prontamente da un compagno, consentendo alla squadra di mantenere una disposizione compatta ed efficace, ove nessun calciatore ha un ruolo fisso. Uno stile propugnato dall’allenatore Michelsed applicato in campo grazie alla perfetta interpretazione del “direttore” Cruijff: in finale, vinse la Germania Ovest, ma 42 anni dopo, per milioni di sportivi, quello resta ancora “il mondiale dell’Arancia meccanica”, richiamando il titolo del celebre film di Stanley Kubrick.

 

«Discutevamo di spazio per tutto il tempo. Cruijff spiegava sempre dove i compagni avrebbero dovuto correre, dove rimanere fermi, dove non si sarebbero dovuti muovere. Si trattava di creare spazio ed entrare nello spazio. È una sorta di architettura sul campo. Parlavamo sempre di velocità della palla, spazio e tempo. Dove c’è più spazio? Dov'è il calciatore che ha più tempo a disposizione? È lì che dobbiamo giocare il pallone.Ogni giocatore doveva capire l’intera geometria di tutto il campo e il sistema nel suo complesso», spiegò ai cronisti del tempo il difensore olandese Barry Hulshoff, storico compagno di Cruijff, il quale avrebbe poi continuato a diffondere il nuovo verbo tattico in veste di allenatore, una volta appesi gli scarpini al chiodo.

Un nuovo corso rivoluzionario, che dalla panchina lo porta a vincere con l’Ajax, tra l’86 e l’87, due Coppe d'Olanda e una Coppa delle coppe, per ripercorrere lo stesso viaggio fatto da calciatore approdando a Barcellona nel 1988, portando i catalani a vittorie mai raggiunte nel corso della loro storia: quattro volte consecutive la Liga Spagnola, una Coppa del Re nel 1990, una Coppa delle Coppe e la prima Champions League, contro la Sampdoria, prima di perdere nel ’94 per 4-0 un’altra finale di Champions contro il Milan di Fabio Capello. «Ogni allenatore parla di movimento, dice di correre sempre. Io dico: non correte molto. Il calcio è un gioco in cui si gioca con il cervello. Bisogna trovarsi nel posto giusto nel momento giusto, né troppo tardi, né troppo presto», predicò Johan in più di un’occasione, perché a suo dire se «giocare a calcio è semplice, giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia: la palla è una sola ed è necessario che tu l’abbia tra i piedi. Il mio Barcellona sapeva gestire il pallone, occupare gli spazi, e anche il portiere doveva giocare coi piedi».

 

Il genio di Cruijff non lascia però solo un fondamentale contributo all’evoluzione tecnico-tattica del calcio: sono oltre 200 i campetti riservati ai ragazzi che la sua fondazione ha aperto nel mondo, tra i quali uno a Como dedicato a Stefano Borgonovo, secondo alcune precise regole, 14, come il suo indimenticabile numero di maglia: se la prima recita “Gioco di squadra. Per fare le cose, dovete farle insieme”, l’ultima raccomanda “Creatività. È la bellezza dello sport”. Il calcio secondo Cruijff: un genio che ha aperto l’era moderna dello sport più praticato nel mondo.

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