Il calcio come speranza

In corso di svolgimento la Coppa d’Africa. Nel frattempo, una particolare squadra gioca per facilitare una cultura del rispetto e dell’integrazione
La squadra albina ai campionati di coppa d'Africa

In Tanzania li chiamano ancora gli “zeru”, anche se l’uso di questo nomignolo dispregiativo è stato proibito dal governo locale a partire dal 2000. Sono gli albini, persone che a causa di un’anomalia ereditaria della melanina hanno una pelle chiarissima. Le cifre ufficiali ne “accreditano” circa 7.000, ma si stima che in realtà, da quelle parti, siano molti di più, probabilmente intorno ai 200.000. Solo che, per paura, la maggior parte di loro viene tenuta lontana dall’anagrafe da genitori che si vergognano perché, avere un albino in famiglia, è considerata quasi una maledizione. Una sorta di razzismo al contrario, abituati come siamo a confrontarci quotidianamente, in ogni angolo del pianeta, con atti deplorevoli nei confronti di chi ha la pelle nera.

In particolare nella parte più povera di questo paese, coincidente con le regioni che si trovano al confine con il Lago Vittoria, zona abitata prevalentemente da minatori e pescatori, gli albini sono vittime di forte pregiudizio e discriminazione. Gli stregoni locali, infatti, sostengono che avere un amuleto con pelle o parti di un albino sia di buon auspicio. Ecco allora che ogni anno in quella parte del mondo continuano a sparire centinaia di persone affette da albinismo, rapiti per tagliarne braccia o gambe che poi, solitamente, vengono seppellite nel proprio campo nella speranza di renderlo più fertile, o sotterrate sotto la propria casa come “portafortuna”, o ancora agganciate alla rete da pesca perché ritenute, appunto, propiziatorie di una pesca abbondante.

Negli ultimi tempi diverse organizzazioni hanno avviato campagne di sensibilizzazione nel tentativo di vincere insensati preconcetti, di spiegare alle popolazioni locali che un albino non è un “diverso”, ma semplicemente una persona con una vita “un poco più difficile rispetto ad altri” anche a causa delle possibili complicazioni di salute date dai rischi che la pelle può subire se viene esposta ai raggi solari. Ma vincere pregiudizi e discriminazioni che durano da tanto tempo non è un’impresa facile … Per fortuna, nonostante tutto, ci sono persone che ci provano, che riescono ad andare “oltre”. Oscar Haule, ad esempio, è un commerciante di automobili, cristiano dalla pelle nera, che tempo fa ha pensato ad una iniziativa davvero originale.

Haule sa benissimo che in Tanzania amano il calcio. così ha dato vita ad una squadra di calcio formata da soli albini nella speranza che l’amore per questo sport si tramuti in amore verso chi è nato con una pelle diversa. O almeno, che queste persone, spesso relegate ai margini della vita sociale, vengano guardate con minor sospetto e diffidenza. Tutti albini, dicevamo, tranne il portiere. Perché a causa dei problemi di vista (gli albini non riescono a vedere nitidamente il pallone in arrivo), tra i pali gioca sempre un atleta di colore. Ecco allora che da qualche anno venticinque giovani albini di Dar es Salaam, la più grande città della Tanzania, principale polo economico e primo porto del paese, giocano insieme in una squadra di calcio, l’Albino United Team.

Si allenano su un campetto di terra situato nei pressi dell’ospedale oncologico della città. Pieno di buche e privo d’erba. E giocano sempre di sera, o al massimo nel tardo pomeriggio. Troppo forti, infatti, sono di giorno i raggi del sole africano che sulla loro pelle, così delicata, potrebbero causare danni irreparabili. Alcuni devono lavorare tutto il giorno prima di poter andare ad allenarsi. Altri non hanno nemmeno i soldi del bus per raggiungere il campo di gioco. Ma a questa nuova esperienza non rinuncerebbero per nulla al mondo. Per questi ragazzi lo sport, ed il calcio in particolare, non è infatti solo gioia e passione, ma una straordinaria occasione per dare visibilità alla loro “causa”. Per una sorta di rivalsa sociale. Per sconfiggere le superstizioni. «Fino a poco tempo fa, a causa del colore della mia pelle, la gente mi considerava un fenomeno da baraccone. Ma adesso che gioco nell’Albino United cominciano a portarmi rispetto», racconta uno di loro.

Sabato scorso, in Sudafrica, è iniziata la ventinovesima edizione della Coppa d’Africa di calcio (Costa d’Avorio e Ghana sono tra le principali candidate alla vittoria finale). Nel frattempo, a poca distanza, una particolare squadra gioca non per vincere una Coppa ma per facilitare una cultura del rispetto e dell’integrazione. E chissà che un giorno, magari non troppo lontano, un calciatore albino possa anche far parte di una delle squadre africane che si fronteggiano in questi giorni per la conquista del massimo torneo continentale per nazioni.

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