Il “buon papà” Haydn

“Le ultime sette parole del nostro Redentore in croce”. “La Creazione”. Orchestra Fondazione Roma, direttore Francesco La Vecchia. Roma, Auditorio Conciliazione.
Il buon papà Haydn

A 200 anni dalla morte, Franz Joseph Haydn continua ad essere il “papà” di tutti quelli che sono venuti dopo, il sinfonista, il poco noto – eppure fantasioso – operista, lo straordinario creatore di musica sacra.

È su questo versante che la Fondazione Roma ha voluto concludere le celebrazioni del Maestro. Le Sette parole, che alternano commenti spirituali a brani musicali, come d’uso all’epoca in quaresima, composte nel 1785, mantengono un tono meditativo, sottolineato dai sette “adagi” strumentali. A Roma, i commenti incisivi di mons. Dario Viganò hanno preceduto i brani, creando una atmosfera di gravità spirituale.

È un Haydn dalla religiosità composta, anche nel grido di “abbandono” del Cristo o nel Terremoto finale: mai uno squilibrio, l’orchestra d’archi scava nel suono, estraendolo da una cavità lontana nel tempo per riportarlo alla luce. La musica è di quelle che gonfiano il cuore senza condurlo allo spasimo: i sette adagi si susseguono commentando la parola detta e facendola poi continuare, trasformata e universalizzata, in suono. Non c’è posto per le lacrime, in Haydn, ma per una meditazione serena sul dolore e la morte.

 

Anni dopo, nel 1798, presenta l’oratorio La Creazione. Le quasi due ore di musica non conoscono una caduta di stile, si mantengono con una freschezza d’inventiva unica. A cominciare dalla “rappresentazione del caos” iniziale: una pagina che descrive non descrivendo, perché suggerisce, intuisce, riuscendo meravigliosamente a chiudere in forme ordinate musicali la “sensazione” di un caos primordiale. È una di quelle musiche modernissime, evocatrici di altri mondi privi di luce. Ed è poi sulla parola: «E la luce fu» che esplode il coro in un fortissimo cosmico, una vittoria sulla tenebra.

Il Settecento ama la luce ed è convinto, ottimisticamente, che essa sconfiggerà qualsiasi forma di buio. Perciò le tre parti dell’oratorio, in cui si narra della creazione fino al racconto della prima coppia umana in un Eden senza peccato, vibrano accenti di gratitudine gioiosa verso il Creatore e fanno zampillare melodie dolci fra gli interventi vibranti del coro. In questo affresco musicale viene il ricordo dell’aria lieta, festiva dei dipinti della Genesi nelle Logge di Raffaello: un racconto felice che contempla un creato innocente.

 

Bisogna riconoscere a Francesco La Vecchia di essersi speso, ancora una volta, con passione totale dirigendo l’ottima giovane orchestra della fondazione, con l’aiuto del glorioso London Symphony Chorus, guidato dal maestro Joseph Cullen, e coadiuvato da un terzetto brillante (Anita Selvaggio, soprano luminoso, David W. Johnson, basso profondo, Michael Smallwood, tenore delicato). Un fluido gioioso è così passato dai complessi musicali al pubblico. Il vecchio Haydn, grazie a loro, è riuscito a dare fiducia: la creazione è cosa davvero “buona”.

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