I tre grandi sacrifici di Madre Teresa

Aprire una casa delle Missionarie della carità in Cina era il suo grande sogno, rimasto irrealizzato. Oggi, però, 10 mila aderenti al Terzo Ordine hanno fatto proprio il suo carisma e alcune  rappresentanti hanno partecipato a Roma alla canonizzazione della suora
Canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta

Madre Teresa e la Cina. Della sua vita e della sua azione si sono conosciute molte cose inedite in questi giorni. Di uno dei suoi sogni si è parlato di meno, ma ad esso lei non ha mai rinunciato. Ne ha parlato padre John Worthley, sacerdote americano docente in alcune università cinesi a un simposio promosso da AsiaNews su Madre Teresa e la sua eredità. Padre Worthley aveva accompagnato Madre Teresa nelle sue visite a Pechino e Shanghai. Il suo obiettivo era preciso: riuscire ad aprire anche lì una casa delle Missionarie della carità. P. Worthley ricorda le speranze deluse della Madre e i rinvii arrivati all’ultimo momento.

 

Lei ne soffrì molto. Ma oggi egli ne è sicuro: nei passi verso l’accordo tra la Cina e la Santa Sede, di cui tanto si parla in queste settimane, c’è la mano di Madre Teresa: «Questa riconciliazione tra la Chiesa universale e la Cina era il suo grande sogno per il quale ha offerto molto e molto pregato». È vero, in Cina le Missionarie della carità non hanno ancora aperto una casa, ma nel 2010 è nato autonomamente in Cina un Terz’ordine che si ispira a Madre Teresa. «E oggi – racconta p. Worthley – conta già diecimila aderenti, in dodici diocesi e tre province del Paese». Dodici di loro – tra cui la fondatrice Li Baofu – sono venute a Roma per la canonizzazione della Madre. La cappa e il velo – ovviamente bianco e azzurro – che indossano assomigliano a un cielo in cui le nuvole si diradano. Una primizia per la Cina di domani?

 

Nell’ottobre 1993, mons. Aloysius Jin Luxian, vescovo di Shanghai donò a Madre Teresa una statua: una Madonna che svetta sul campanile della basilica di Sheshan e che innalza sopra la sua testa Gesù Bambino. Ella mise la piccola statua nella tasca del suo sari e lì vi è rimasta fino al giorno della sua morte. «Ad ogni nostro incontro – confida p. Worthley – a Hong Kong, Calcutta o New York, la Madre metteva la statua sul tavolo, come una preghiera di intercessione». E al suo ardente desiderio faceva eco la richiesta che Giovanni Paolo II le fece: vivere come ponte di amore e di riconciliazione tra la Cina e la Chiesa universale.

 

Tre sacrifici per la riconciliazione fra la Cina e la Chiesa universale

Madre Teresa si era recata in Cina per la prima volta nel 1986, su invito di Deng Pufang, primogenito del leader cinese Deng Xiaoping, che allora stava fondando la Federazione cinese per le persone disabili. «Io – narra p. Worthley –  insegnavo all’università del Commercio internazionale e dell’economia a Pechino, non ero ancora sacerdote e sono rimasto euforico quando la sua foto è apparsa sulla prima pagina del China Daily e pendeva da tutte le edicole della città». Si pensò che la trattativa sarebbe stata positiva, invece, prima della sua partenza, Deng Pufang disse alla Madre che il tempo non era ancora maturo. Una conclusione che le spezzò il cuore. Più tardi si seppe che l’opposizione veniva da diverse fazioni a Pechino ed era presente anche nel Vaticano.

 

Sette anni dopo, nell’ottobre 1993, la Madre era stata invitata a visitare delle personalità ufficiali a Pechino e il vescovo Jin (appartenente alla Chiesa ufficiale cinese) a Shanghai. Le discussioni erano andate avanti e anche la sua speranza. Al suo arrivo a Shanghai però non vi era nessuno ad attenderla all’aeroporto. Madre Teresa aveva portato con sé 13 scatole con cose comuni a tutte le case delle Missionarie della carità, tanto era sicura della prospettiva che si sarebbe aperta. Invece dovette occuparsi lei di trasportarle attraverso la dogana. Mons. Jin poi accettò di incontrarla, ma all’indomani la informò che il permesso non poteva esserle garantito e lei, con il cuore affranto, abbracciò questo secondo “no”. Un gesto però dice la sua fiducia al piano di Dio: ha lasciato le sue 13 scatole nel centro pastorale della diocesi di Shanghai. E lì sono ancora oggi, in attesa delle suore.

 

Nel gennaio del 1994 nell’isola di Hainan era stato raggiunto un accordo dove si offriva alle Missionarie della carità di servire nel Centro di assistenza da poco costruito, con l’approvazione dei visti per quattro suore. Madre Teresa venne invitata formalmente il 19 marzo. Arrivata ad Hong Kong, qualche ora prima di salire sull’aereo per Hainan, le arrivò l’indicazione da Pechino che la sua entrata non era permessa. Gli amici di Hainan e i rappresentanti ufficiali della città erano confusi e devastati. «Ci siamo incontrati a Hong Kong – confida p. Worthley – e abbiamo pregato per ore. Questo terzo e più difficile sacrificio di Madre Teresa per la riconciliazione esigeva prima di essere accettato e poi di ripartire. Noi però le abbiamo promesso che non avremmo risparmiato sforzi finché il tempo giusto non fosse arrivato».

 

I 30 anni di sforzi e di sofferenze di Madre Teresa per la Cina, però, hanno prodotto una sua presenza nel Paese: lo dimostrano i 10 mila membri del Terzo ordine che hanno fatto proprio il suo carisma, il prosperare del Centro di assistenza sociale ad Hainan nello spirito di Madre Teresa, con le sue foto appese, le 13 scatole pronte a Shanghai con quanto occorre per una casa delle Missionarie della carità. E p. Worthley conclude: «Madre Teresa aveva previsto, con le attuali tendenze demografiche, che in 20 anni la Chiesa in Cina sarebbe potuta diventare la più numerosa comunità nel mondo. La fervente preghiera di Cristo per l’unità, “che tutti siano uno”, ci interpella».

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