I travagli dei risparmiatori

Economia
Un sospiro di sollievo. Almeno per il momento. Lo hanno tirato i risparmiatori italiani, dopo i decreti a garanzia del sistema creditizio nazionale varati dal governo. Il primo provvedimento consente allo Stato – ha spiegato il ministro dell’Economia, Tremonti – di entrare nel capitale delle banche in eventuale difficoltà e accresce la tutela per i depositanti , mentre le due misure successive permettono di assicurare la liquidità per le imprese, per l’economia reale e per i consumatori. I depositi bancari, garantiti in Italia da un fondo costituito tra aziende di credito, sono adesso salvaguardati anche dall’impegno dello Stato in caso di traumatici effetti della crisi attuale. La garanzia pubblica, relativa alle banche italiane, ammonta a 103 mila euro per ogni titolare di conto corrente (uno solo) per istituto. Un salvagente che non può accontentare i risparmiatori più danarosi, ma che costituisce pur sempre un fattore di sicurezza, soprattutto se lo si pone in relazione alle conseguenze della bufera finanziaria nelle aree meno ricche del pianeta. I Paesi in via di sviluppo – ha commentato il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick – rischiano di vedere andare in fumo i propri sforzi per migliorare la qualità della vita della popolazione se ci sarà un prolungato rallentamento della crescita globale e una stretta del credito. Insomma, ai già troppi poveri del mondo, aumentati di 100 milioni dall’inizio del 2008, il crac finanziario potrebbe aggiungerne altri ancora. Preoccupazione ed ansia si sono diffuse rapidamente, complici i mezzi di comunicazione che hanno costantemente diffuso il bollettino aggiornato dei crolli e delle fragili riprese delle piazze finanziarie del mondo. Di pari passo, i capi di Stato e di governo si sono affacciati, dai televisori, nei salotti dei tormentati cittadini per spiegare che non c’erano motivi per temere la perdita dei propri risparmi. Pro- ducendo, con ciò stesso, l’effetto opposto. Perché, infatti, si sarebbero dovuti scomodare a rassicurare se non ci fossero fondati motivi per farsi prendere dal panico? Sui mercati domina la sfiducia – ha commentato il sociologo Ilvo Diamanti -. Nessuno si fida di nessuno. Mercati finanziari e società si rispecchiano in questo momento . E ha aggiunto: In Italia si rilevano da tempo gli indici di pessimismo e di insicurezza più elevati d’Europa. Un dato che trova amara conferma in un sondaggio di metà ottobre: sei italiani su dieci ritengono che in questo momento è inutile fare progetti impegnativi per sé e la propria famiglia, perché il futuro è troppo carico di rischi. È perciò assai comprensibile che ciascuno si muova come può. Si è tornati a guardare in modo privilegiato al mattone, ai Bot e ai titoli postali per trovare un approdo sicuro al proprio gruzzolo. Ma non può essere l’unico orizzonte d’azione. I risparmiatori possono fare molto di più. Le decisioni non vanno lasciate alle élite. La crisi in corso offre la rara opportunità di concorrere a mutare il corso di un sfrenato liberismo finanziario. Se i cittadini, singoli e associati, alimentano un’opinione pubblica che chiede alle istituzioni politiche e bancarie regole, trasparenza e sanzioni nella logica del bene comune, i tanti risparmi non saranno stati bruciati invano. C’è bisogno di regole condivise Prof. Pier Luigi Porta, le misure del governo italiano le sembrano efficaci? Direi di sì – replica alla nostra domanda il direttore del dipartimento di Economia politica dell’università Milano-Bicocca -. C’è chi ha avuto l’impressione di un ritorno a vecchie forme di Stato-banchiere che non hanno funzionato bene, ma, di fronte al tracollo attuale, il primo obiettivo era quello di tutelare il risparmiatore e rassicurarlo per evitare una crisi di fiducia tale da determinare davvero un collasso del sistema. I risparmiatori possono, allora, stare tranquilli? Direi proprio di sì. Cosa sarebbe successo senza l’euro? In una crisi come questa è fondamentale essere agganciati ad una moneta forte, garanzia che non avremmo avuto con la vecchia lira. Eppure l’euro s’è indebolito sotto la tormenta. Paga la sua debolezza di fondo: l’euro è l’unica moneta al mondo a non essere espressione di uno Stato. Ma l’Europa dell’euro s’è mostrata compatta, varando a Parigi provvedimenti comuni. Un segnale importante non solo per i mercati? Un segnale importante, anche se non indulgerei al trionfalismo, perché i governi europei hanno capito che sarebbero stati le prime vittime della crisi. Se infatti saltano i parametri di Maastricht e gli accordi su cui l’euro si fonda, ci sono forti rischi che la moneta unica non regga. Non va inoltre dimenticato che il sistema europeo è privo di strumenti per gestire le crisi finanziarie. Ecco spiegata la pronta decisione. L’Europa, comunque, ha fatto bella figura. provvedimenti dei Paesi europei ammontano a 1.800 miliardi di euro. Com’è finanziata l’operazione? La moneta verrà creata dalle E cosa succederà ai contribuenti? Il nostro Paese, che ha già un debito pubblico elevato, sforerà ulteriormente i parametri di Maastricht e sarà in maggiore difficoltà. Per tornare a ridurre il debito, bisognerà aumentare le imposte. Alla fine, sarà il contribuente a pagare le follie della finanza senza regole. Maggiori rischi di povertà? Certo, ed è già un fatto, perché con lo sgonfiamento dei valori la gente si sente più povera e soprattutto le disuguaglianze sono aumentate . Si auspica di detassare la tredicesima e ridurre da novembre il carico fiscale sulle imprese. Provvedimenti utili? Misure giuste, ma sono provvedimenti di brevissimo periodo, perché se, da un lato si sostengono consumatori e imprese, riducendo la pressione fiscale, dall’altro, peggiorano i conti pubblici. Riguardo al modello di sviluppo adottato, questa crisi invita a qualche ripensamento cruciale? Il discorso di fondo è che noi non possiamo pensare solamente all’aumento della ricchezza, ma anche ad uno sviluppo sostenibile. L’economista Luigino Bruni ha scritto sull’Osservatore Romano che non dobbiamo più pensare le banche come imprese al pari delle altre, perché hanno – e la crisi è dovuta al fatto che lo si è dimenticato – una funzione pubblica fondamentale, quella di tutelare il risparmio. Quando diventano proprietarie di imprese, quando si occupano soprattutto degli impieghi, vanno alla ricerca di quelli più remunerativi, dunque, più rischiosi. Qui, più che lo Stato, bisognerebbe ricorrere alla responsabilità sociale, al rapporto tra banca e società civile, come aveva ricordato in agosto Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa. Adesso ci si appella all’etica, ma occorre piuttosto recuperare il rapporto tra banca, società civile e territorio. Quale insegnamento lei trae, al momento, dalla crisi finanziaria? Bisogna tornare a forme di regolazione, che in passato hanno assunto le forme della legge bancaria e degli accordi di Bretton Woods del 1944 per regolare i rapporti monetari. Il mondo è cresciuto in modo eccellente dopo la Seconda guerra mondiale. Le regole hanno dato sicurezza perché hanno reso stabili i rapporti di cambio internazionale. Eppure sul Corriere della Sera si leggono articoli che continuano a proclamare più finanza, più sviluppo; più finanza, meno rischi.

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