I proletari della strada

Bordeggiano sentieri di periferia e notorietà. Sono magri, strani, storti. Come formichine seguono la loro invisibile traccia di zucchero e risparmiano sempre. Meno peso si portano addosso e più possibilità hanno. Ammaestrano gambe, fiato, pensieri. Ingabbiano la fretta e la voracità. La marcia è un piccolo mondo antico, una famiglia dove ci si aiuta. Sì, una famiglia – precisa Maurizio Damilano -, una famiglia che ha in comune il desiderio di riaffermare una specialità spesso lasciata ai margini, a cui si dà spazio solo quando si avvicina il grande evento o arrivano i grandi risultati internazionali . Come ora, con Pechino alle porte. Tutti sono pronti a scommettere sulle medaglie della marcia, la proletaria dell’atletica, con un bacino di soli mille tesserati, che, alle Olimpiadi, non ha mai tradito: 7 ori, un argento e 7 bronzi. Oltre a Brugnetti – conferma Damilano -, che difende il titolo di Atene sui 20 chilometri, ed Elisa Rigando, che può arrivare nelle prime otto, abbiamo una chiara chance di medaglia con Alex Schwazer, nella 50 chilometri. La marcia, fatica smisurata, a Pechino dovrà fare i conti, più di altre specialità, con l’inquinamento e l’afa. Ma Schwazer ha già minimizzato, spiegando che questi inconvenienti li avranno tutti e quindi… In queste settimane sta rifinendo in altura un lavoro che viene da lontano, impreziosito da due bronzi mondiali e fondato solidamente su 8 mila chilometri percorsi in un anno, 15 paia di scarpe distrutte, 6 mila calorie al giorno introdotte e consumate. La natura e l’allenamento gli hanno dato in dote un cuore efficientissimo: solo 28 battiti al minuto, 4 meno di Coppi. Schwazer, altoatesino, 23 anni, è solo l’ultimo rampollo cresciuto sotto lo sguardo pignolo ed esperto di Sandro Damilano, che ha allevato generazioni di marciatori, a cominciare proprio dal fratello Maurizio che alle Olimpiadi ha vinto un oro e due bronzi. Conferma lo stereotipo del marciatore: persona riservata, introversa, solitaria? Non esiste uno stereotipo così netto: ho conosciuto marciatori estremamente chiusi e altri estroversi. Io ero e sono persona tranquilla e riflessiva che ha sempre creduto molto nella centralità dell’impegno, prima da sportivo, oggi da uomo del mondo del lavoro, da padre di famiglia; credo nelle piccole cose quotidiane che, fatte bene, portano al risultato. Lavoro e serietà. Niente sfoghi, niente urla, niente uscite di testa. Soldi pochi, passione tanta. La marcia è goccia ticchettante che misura la strada. Assopisci ogni sussulto: se non controlli i gesti sei fuori, squalificato. La marcia non è gesto selvaggio, ma disciplina che, nell’ambito agonistico, ha regole specifiche, per non venire squalificati e per risparmiare energie: il contatto costante con il terreno che la differenzia dalla corsa e il bloccaggio del ginocchio della gamba d’appog gio. Sono stato eletto presidente della commissione internazionale della marcia in seno alla federazione mondiale di atletica – spiega Maurizio -, proprio poco prima di Sydney 2000, dove avvenne un fatto che creò grande scalpore: un atleta messicano venne squalificato mentre già stava festeg- giando la vittoria. In questi anni abbiamo lavorato sodo perché la valutazione dei giudici fosse più comprensibile. Chi è vicino alla marcia ha comunque sempre creduto, senza isterismi, nella imparzialità dei giudici: in questo senso la marcia è una grande palestra di vita dove si impara a farsi giudicare e ad accettare il giudizio. Come ci si avvicina alla marcia? La marcia è l’apice di una realtà che alla base ha il camminare, un’attività che oggi sta trovando motivazioni legate al benessere, alla salute, alla qualità della vita, alla vivibilità delle nostre città. Da alcuni anni sto lavorando ad un progetto che si chiama fitwalking, camminare per stare bene, che trova consenso nei singoli e nelle istituzioni. Avete scoperto l’acqua calda? No, abbiamo bisogno di ritrovare le cose che il progresso ci ha fatto dimenticare: camminare, incontrare persone, riscoprire l’ambiente naturale. Camminare non è solo una metafora della vita, ma un’opportu nità per rimettere l’uomo, e non le cose, al centro. Camminare e, per chi cerca uno sbocco agonistico, marciare, permette una ricerca della tua identità personale e sociale. Per i più giovani non è solo un antidoto ai problemi legati al sedentarismo, ma un’opportunità di praticare una specialità che sta dentro regole precise. I marciatori sono fra i pochi che credono ancora che a stare con i piedi per terra si possa andare lontano. Sono quelli che vedi passare nelle livide mattine d’inverno, quando non hai voglia di andare al lavoro e loro già marciano chissà da quando. Lentamente, con garbo. Questione di stile. Loro lo stadio lo vedono solo all’inizio ed alla fine: per il resto del tempo ancheggiano nella nebbia, lontani dagli sguardi e dai soldi. A Pechino, il 22 agosto alle 1.30 del mattino, parte la 50 chilometri: vale la pena svegliarsi? Sì, sicuramente! Per Schwazer e gli altri. E per vedere l’ultimo capitolo di storia vera dello sport italiano.

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