I parlamentari ? Già scelti, grazie

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Non si erano mai verificate, prima d’ora, condizioni così tristi, dal punto di vista della sovranità dei cittadini. Come giudicare il fatto che un pugno di persone – le segreterie ristrette dei partiti – stabilendo l’ordine in lista, decida a tutti gli effetti quali candidati saranno eletti? Neppure prima la situazione era allegra, ma il passo verso il peggio fatto con la presente legge è determinante. La politica, consapevole della propria fragilità e del proprio distacco dai cittadini, si arrocca, cerca di difendersi dalla società; i nostri rappresentanti, che dovrebbero sempre sottoporsi, attraverso le elezioni, ad una seria valutazione, ne hanno profondamente paura e si sottraggono sia al nostro giudizio sia alla reale competizione fra loro. In tal modo, non rappresentano più nessuno, ma si trasformano in un ceto, con i suoi privilegi e le sue complicità sotterranee. Mettendo in lista qualche esponente della società civile, questo ceto pensa di lanciare il segnale di apertura e di dialogo con la società, ma è fumo negli occhi. Dalle varie liste sono stati esclusi parlamentari che, nelle ultime legislature, si era conquistati il seggio combattendo ogni volta nel maggioritario: a pieno diritto potevano dire di essere stati veramente scelti dal popolo; oggi, quando non c’è più da dimostrare di essere credibili per venire eletti, possono essere sostituiti da chiunque. Rientrano, invece, personaggi antichi, gente che ha già scritto la sua pagina di storia e la cui incapacità di distaccarsi dalla politica attiva e dai riflettori è ormai patologica. Il 9 aprile può entrare in parlamento chiunque, anche chi è oggetto di gravi accuse da parte della magistratura e avrebbe fatto bene, invece, a chiarire la propria posizione prima di cercare rifugio dietro ad un mandato parlamentare. Un sistema elettorale del genere può diventare un pericolo per la democrazia, perché i capi di alcune associazioni private (i partiti) decidono la composizione del potere legislativo: troppo potere in poche mani, con conseguente maggior rischio di condizionamenti da parte sia della criminalità organizzata, sia di poteri forti esterni al mondo politico, sia di quella zona d’ombra tra politica e crimine che purtroppo ancora caratterizza alcune zone del nostro paese. Un sottile sistema di ricatti può portare all’elezione – mancando la libera scelta dei cittadini – di veri e propri mascalzoni. E una vera e propria mascalzonata appare questa legge che impedisce di scegliere i rappresentanti: voluta, per dichiarazione esplicita dei suoi promotori, al preciso scopo di limitare i danni, nella previsione di perdere le elezioni o, addirittura, di cercare di ribaltare il risultato. Come già abbiamo scritto (in Città nuova n. 21/2005) essa è stata ricalcata sulla legge voluta dal centro-sinistra nella regione Toscana; dunque, ciascuno degli schieramenti non ha motivo di considerarsi migliore dell’altro, dato che (come è avvenuto in altri campi, quale la riforma della Costituzione) il centro destra ha fatto, dopo e in grande, lo stesso errore che il centro-sinistra aveva fatto, per primo, in piccolo. C’è solo da augurarsi che il prossimo parlamento, chiunque vinca le elezioni, cambi la legge: ma non lo farà senza una forte spinta popolaà re, che conviene cominciare a preparare fin d’ora. Viene spontaneo chiedersi: ma come hanno potuto, i nostri politici, fare una legge del genere? La risposta è molto semplice: sanno che se lo possono permettere, perché – anche in politica, Dio li fa e poi li accoppia – si trovano di fronte cittadini che, nel bene e nel male, sono la copia esatta dei politici. Riprendiamo in mano uno studio serio (1), compiuto, a bocce ferme, dopo le elezioni politiche del 2001 che diedero la vittoria al centro destra. Esso dimostrava che l’insieme degli elettori votava, prima di tutto, per la coalizione, poi per il partito o il programma o il leader; solo all’ultimo posto veniva la scelta del candidato del proprio collegio: molti, anzi, lo ignoravano del tutto. Come lamentarsi, allora, se i partiti hanno fatto una legge in cui i candidati li hanno già scelti loro? Dobbiamo renderci conto che non si tratta di intraprendere una battaglia contro i politici cattivi da parte dei cittadini buoni, ma che bisogna avviare una crescita che coinvolga tutti. Un secondo aspetto messo in evidenza da quello studio è altrettanto paradossale. Le elezioni del 2001 hanno fatto registrare una crescita, da parte dei cittadini, per i programmi dei partiti, una maggiore attenzione, rispetto al passato, per le priorità date alle varie tematiche; si registrava, corrispettivamente, un abbassamento del voto ideologico o di appartenenza. Il problema è che – come gli studiosi dimostrano – gli elettori scelgono non in base alle diverse soluzioni che i partiti propongono, ma in base ai temi che sollevano. Basta, ad esempio, che un partito accenda una campagna sulla disoccupazione, per vedersi accreditato il voto di coloro che hanno a cuore questo problema, indipendentemente dalla validità della soluzione proposta, che l’elettore non è, spesso, in grado di giudicare. L’elettorato, dunque, è ancora fortemente immaturo; siamo messi male. Ma ci sono anche delle cose che, come cittadini, possiamo fare subito. Anzitutto, non trascurare i rapporti costruiti con i vari politici, specialmente, ma non solo, i candidati. E’ vero che non possiamo dare il voto di preferenza, ma nessuno ci vieta di partecipare alla campagna elettorale, di contribuire alla formazione dell’opinione pubblica, di far presente ai politici la nostra valutazione dei programmi. Possiamo, come già in molti luoghi abbiamo sperimentato con il Movimento Umanità Nuova e col Movimento politico per l’unità, stringere un patto di collaborazione con i candidati, che vada al di là del giorno delle elezioni.Mai come oggi ce n’è stato tanto bisogno, per far sì che l’agenda delle nuove Camere si occupi delle vere priorità di questo paese. COME SI VOTA Domenica 9 aprile si vota dalle 8 del mattino alle 10 di sera; lunedì 10 aprile si vota dalle 7,00 alle 15,00. Riceveremo due schede, una per la Camera e una per il Senato. In ciascuna, basterà tracciare un segno sul simbolo della lista prescelta. I simboli delle liste appartenenti alla stessa coalizione sono posti in colonna, uno sotto l’altro, per cui le coalizioni saranno facilmente distinguibili. Non c’è la possibilità di esprimere una preferenza per uno dei candidati: verranno eletti in base all’ordine nel quale i partiti li hanno messi in lista. COME FUNZIONA Alla Camera. Su base nazionale ci sono da ripartire, tra le diverse circoscrizioni e in proporzione al numero dei cittadini aventi diritto, 617 seggi (oltre ai 12 della Circoscrizione Estero e a quello della Valle D’Aosta, che viene assegnato col metodo maggioritario uninominale). 340 di essi sono assegnati alla lista o alla coalizione che ottiene il maggior numero di voti su base nazionale. I rimanenti 277 sono distribuiti, proporzionalmente, alle altre liste e coalizioni. Tale sistema garantisce al vincitore una maggioranza di circa il 55 per cento alla Camera; a meno che egli non abbia ottenuto una percentuale ancora maggiore di voti: in questo caso, il calcolo proporzionale gli assegnerebbe un numero ancora più alto di seggi, senza la necessità di ricevere il premio di maggioranza. I seggi vinti vengono ripartiti all’interno delle coalizioni in maniera proporzionale ai voti ottenuti da ciascuno dei coalizzati. La legge, però, pone degli sbarramenti; se un partito corre da solo, per accedere alla distribuzione dei seggi deve ottenere almeno il 4 per cento su base nazionale. Se invece si è inserito in una coalizione, gli è sufficiente il 2 per cento. La coalizione, nel suo insieme, deve avere superato il 10 per cento. La nuova legge elettorale, in sostanza, favorisce la formazione di coalizioni: non necessariamente 2, ma comunque significative. Al Senato. Anche al Senato la legge prevede un premio che consenta al vincitore di ottenere il 55 per cento dei seggi; il calcolo, però, non avviene su base nazionale, ma regionale; e gli sbarramenti sono rispettivamente il 20 per cento per le coalizioni, l’8 per cento per i partiti che corrono da soli e il 3 per cento per i partiti collegati a coalizioni. Il calcolo su base regionale rende molto più incerto l’esito finale: teoricamente, non si può escludere un caso di parità tra le due coalizioni maggiori o, addirittura, il rovesciamento del risultato della Camera.

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