I nuovi scenari del lavoro con il Jobs act

Approvata in via definitiva la legge delega al governo in tema di riforma del mercato del lavoro. Il cambio di sistema provocato dalla “flexsecurity” secondo la relazione del giuslavorista Pietro Ichino
ministro Poletti

Hanno condotto un efficace gioco di squadra al Senato sulla legge delega al governo in materia di lavoro (cosiddetto Jobs act), l’ex ministro del lavoro Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro,   e il collega relatore della legge, il giuslavorista Pietro Ichino. Assieme hanno offerto le ragioni di un impianto normativo che sarà definito nei particolari a gennaio del 2015 con i relativi decreti legislativi in via di completamento.  Il voto di fiducia del 3 dicembre ha tolto di mezzo i dissidi interni al Pd: solo un voto contrario e due assenti volontari tra i democratici al Senato. Prevedibili le notizie di alcuni tafferugli nelle manifestazioni organizzate all’esterno da parte di alcuni sindacati di base e gruppi radicali. Ridotta l’attenzione mediatica al voto definitivo sulla legge davanti alla notizia bomba del giorno sui cento arresti avvenuti nella Capitale in forza di una vasta indagine della magistratura sulla presenza radicata del sistema mafioso a Roma.

Proprio l’alto livello di corruzione in Italia, certificato nello stesso giorno dall’ong  Trasparency international, è, come è noto,  uno dei fattori che pesa in maniera determinante sulla capacità competitiva delle nostre aziende e allontana gli investimenti esteri; ma, come ha ricordato il senatore Ichino, nella sua relazione del 2 dicembre sulla legge delega, la Commissione europea ha potuto stilare un rapporto positivo sui progressi dell’Italia  nel superare la debolezza del proprio sistema economico proprio a partire dalla riforma del lavoro che il governo Renzi  riuscirà a realizzare.

Uno dei punti determinanti della normativa destinata ad entrare in vigore quanto prima, la chiave di volta, secondo Ichino, è «il passaggio dal vecchio sistema tendente a difendere la persona che lavora dal mercato del lavoro, evitandole il più possibile di dovervi transitare, a un sistema di protezione tendente a difenderla nel mercato, in particolare nel passaggio dalla vecchia occupazione a una nuova».  Usando i termini inglesi, purtroppo sempre più necessari per essere comprensibili sul piano internazionale degli investimenti di capitali, si tratta di passare dalla “job property alla “flexsecurity e cioè saper «coniugare la massima possibile flessibilità delle strutture produttive, indispensabile per la competitività delle nostre imprese nell’economia globalizzata, con la massima possibile sicurezza economica e professionale delle persone che in esse lavorano».  Volutamente non si fanno promesse impossibili da mantenere: solo la “massima possibile” sicurezza del lavoratore.

Il nuovo scenario del lavoro imporrebbe perciò che «lo stato di effettiva disoccupazione dei lavoratori non venga nascosto attraverso la sospensione fittizia dei rapporti di lavoro, come si è diffusamente fatto negli ultimi decenni, ma si proceda immediatamente all’attivazione delle misure tendenti al più rapido possibile reinserimento dei lavoratori interessati nel tessuto produttivo».  Quindi stop alla cassa integrazione se non nei casi di sospensione temporanea dell’attività.  L’aumento della condizione effettiva di disoccupazione richiederà un notevole investimento nei servizi per l’impiego che sono, oggi, poco efficienti.  Per questo motivo, il senatore di Scelta civica, ha ribadito «il ruolo specifico che la riforma intende attribuire, nel nuovo sistema dei servizi per l’impiego, alle imprese specializzate nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro accreditate presso le Regioni». Una figura chiave di questo passaggio della flexsecurity sarà perciò il contratto di ricollocazione del lavoratore rimasto disoccupato che potrà scegliere liberamente tra le agenzie specializzate accreditate presso la Regione di appartenenza e che riceveranno il compenso del loro servizio tramite un voucher «pagabile, per la maggior parte, a risultato positivo ottenuto».

Accanto a queste agenzie, la Camera ha aggiunto anche le organizzazioni del Terzo settore e la scuola.

La notevole attenzione rivolta al servizio di ricollocazione del lavoratore disoccupato si collega al cambiamento della disciplina del contratto di lavoro. Solo in casi estremi (nullità, discriminazione, limitati casi disciplinari) sarà possibile ottenere il reintegro nel posto di lavoro anche in caso di licenziamento illegittimo previsto, finora, solo per le aziende con oltre 15 dipendenti.  Come ha voluto ribadire nella sua relazione il senatore Ichino, è «inequivocabile l’intendimento del legislatore di superare la peculiarità del nostro ordinamento nel panorama dell’intero Occidente industrializzato – peculiarità di fatto mantenutasi anche dopo la riforma parziale della materia del 2012 (Fornero, Ndr) – consistente in una amplissima applicazione in questa materia della sanzione della reintegrazione».

La legge delega approvata, ormai in via definitiva, pertanto, «si fa carico – anche qui in armonia con le linee guida emanate dall’Unione europea – di creare le condizioni affinché il pregiudizio derivante sul piano economico e professionale alla persona che perde un lavoro sia ridotto al minimo, se non azzerato, dal sostegno del reddito e dall’assistenza offerta nella ricerca della nuova occupazione». Questa nuova disciplina dei rapporti a tempo indeterminato sarà operativa dopo l’approvazione dei decreti legislativi attuativi della delega. Si avrà perciò un lungo periodo transitorio dove solo per i nuovi rapporti (magari relative a persone licenziate dopo la riforma) si avrà una «diversa tecnica di protezione della sicurezza economica e professionale».  Secondo l’economista Francesco Giavazzi, noto editorialista del Corriere della Sera, si tratta di una grave anomalia perché rimarranno lavoratori che mantengono un contratto a tempo indeterminato per il quale continuerà a valere il vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: «Questo rischia di generare una nuova divisione del mercato del lavoro, con effetti che potrebbero cancellare i benefici della riforma». Ma proprio su questo punto lo stesso Ichino ha risposto sulle stesse pagine del Corriere a favore del passaggio graduale verso il nuovo sistema perché «se venisse rimossa da un giorno all’altro la protezione dell’articolo 18 per tutti i rapporti di lavoro, vecchi e nuovi» avremmo il rischio di un licenziamento di molte persone «il cui rapporto di lavoro presenta un bilancio in perdita più o meno rilevante, ma che oggi sono mantenute in servizio dalle rispettive imprese perché protette dall’articolo 18».

Ma davanti a questa ipotesi di intensificazione dei licenziamenti, secondo il senatore giuslavorista «il sistema non sarebbe in grado di far fronte sul piano economico, con un corrispondente aumento dei trattamenti di disoccupazione». Anche dal punto di vista operativo, inoltre, necessiterà un periodi di collaudo di uno o due anni prima che entrino in funzione «i nuovi strumenti di servizio nel mercato del lavoro, fondati sulla cooperazione tra strutture pubbliche e agenzie specializzate». Insomma niente fretta ma il dado è tratto.

 

Una improvvisa intensificazione dei licenziamenti avrebbe anche l’effetto di un diffuso allarme sociale, con le conseguenti prevedibili pressioni sul governo e il Parlamento affinché venga sospesa l’applicazione della nuova disciplina. E questo – generando incertezza sulla stabilità del quadro legislativo – rischierebbe di neutralizzare l’effetto positivo della riforma sulla propensione delle imprese a investire e ad assumere.

 

 

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