I numeri della precarietà che attendono soluzioni

Al di là della cronaca, l’episodio polemico tra il ministro Brunetta e la lavoratrice precaria fa emergere questioni urgenti a cui dare risposta
precari
Per alcuni la precarietà lavorativa, che finisce per estendersi all’intera esistenza, è un argomento sfruttato in maniera artificiosa e retorica. Il ministro Renato Brunetta, che è stato un tecnico consigliere anche di governi degli anni ’80, non ne ha mai fatto mistero con un parlare e un’agire che molti hanno apprezzato («Io non sono un ammazzaprecari, non voglio licenziare nessuno») anche perché abbinato ad un sentire diffuso molto critico verso le lentezze e le inefficienze della pubblica amministrazione («Lavoro nell’interesse dei giovani, magari anche bacchettando le amministrazioni che hanno fatto porcherie, di cui dovranno dar conto»).

 

All’inizio del suo incarico aveva lanciato un appello diretto a tutti i precari dell’amministrazione pubblica per poter fare un censimento delle situazioni contrattuali diverse da quelle con contratto di lavoro a tempo indeterminato. «Unitevi!» era l’invito a smuovere la macchina amministrativa per risolvere un problema noto già dagli anni ‘90 con il blocco del turn over. Man mano entrano in servizio meno dipendenti di quelli che escono e per poter assicurare l’espletamento del servizio pubblico si rendono necessarie delle assunzioni a tempo determinato o con società esterne che prestano il personale per periodi rinnovabili di anno in anno.

 

Circa 19 mila posti precari si sono stabilizzati con una prova selettiva, tra il 2005 e il 2007, facendo attenzione all’anzianità di servizio. Dal 2009, come ha più volte fatto notare il titolare del ministero con riferimento a tutto il pubblico impiego, è venuta meno ogni risorsa finanziaria per la conversione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro. I dati più recenti del Conto annuale a fine 2009, reso noto dalla Ragioneria dello Stato, riportano complessivamente 176 mila unità tra contratto a tempo determinato e contratti flessibili a fronte di un totale di 3 milioni e 311 mila dipendenti pubblici stabili.

 

In questi mesi, scadendo i vari contratti, si stanno consumando gli effetti previsti dalla manovra finanziaria del luglio 2010, che ha previsto il taglio del 50 per cento del lavoro temporaneo nella pubblica amministrazione. Per avere un’idea di ciò che sta avvenendo, solo per l’Istituto di previdenza sociale il taglio comporta il venir meno del lavoro per circa mille e ottocento lavoratori che da anni curano le pratiche dell’Inps. Questi si rivolgono al governo, ai sindacati, ai partiti e a tutta la cittadinanza rivendicando il fatto di non essere considerati «lavoratori usa e getta» o, usando un acronimo, desiderano essere «Interinali Non Per Sempre». Le forme di contestazioni e di visibilità, ricercata con forza, possono essere fantasiose e creative oppure trovare, man mano, modalità sempre più estreme, ma è evidente che lo stato d’animo non può che essere esasperato.

 

Il decreto chiamato mille proroghe, passato con il voto di fiducia nel marzo 2011, aveva lasciato aperta la speranza di un qualche slittamento che tuttavia non è avvenuto.

 

È in questo contesto che si è venuta a collocare la reazione del ministro al tentativo di intervento in un dibattito da parte di una lavoratrice della “rete contro la precarietà”. Il dato di cronaca si può leggere sul web. Sono previste contestazioni sotto la sede del ministero della Funzione Pubblica. Quel che importa è creare le condizioni per dare risposte concrete e ragionevoli ad esigenze sempre più pressanti di dignità.   

 

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