I nervi scoperti dell’America

Bollywood si prende la rivincita su Hollywood. Otto statuette a "The MIllionaire", film inglese con attori indiani. Premiato "The Reader", risposta alla "memoria dimenticata".
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Quali sono gli Oscar, o equivalenti tali, assegnati da Bollywood? E quali quelli di Hong Kong.? Alzi la mano chi li conosce! Eppure l’India e Hong Kong, subito dopo gli Usa, sono i maggiori produttori di film fra tutti i Paesi del mondo. Il fatto è che mentre India e Hong Kong dispongono di mercati ristretti, Hollywood spazia e furoreggia in tutti i cinque continenti, prima industria del mondo a godere da tempo dell’effetto globalizzazione. Se così non fosse, non si spiegherebbe perché tutti i telegiornali di lunedì 23 febbraio abbiano aperto con la notizia dell’Oscar. Un privilegio che premi nostrani come David di Donatello e Nastri d’argento non sognano neppure in nome di un’improbabile par condicio

Qualcuno obietterà che l’Oscar è il termometro dell’America e dei suoi stati d’animo, la miglior vetrina per mettere in mostra le pulsioni che determinano una tendenza anziché un’altra. Come si spiegherebbero diversamente le otto statuette (otto su dieci nomination, un vero en plein) assegnate a The Millionaire, film inglese girato in India con attori indiani? Se è vero che l’Oscar è un premio corporativo, dove ognuno dei circa 6 mila membri dell’Academy Award vota per il proprio clan, quale lettura guiderebbe il “palmarès” dell’81a edizione?

 

Negli studios di Los Angeles circola insistentemente la voce che le otto statuette a The Millionaire (di cui quattro pesantissime come miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior fotografia) siano latrici di un chiaro messaggio. All’interno dei sindacati e fra le maestranze hollywoodiane lo scontento si taglia a fette. Crisi economica e recessione hanno causato perdita di posti di lavoro, tagli, restrizioni, prospettive occupazionali incerte. Con questo quadro a far da premessa, c’è chi ha voluto vedere in The Millionaire non una manifestazione umanitaria di commozione collettiva in favore del Terzo Mondo e dell’infanzia abbandonata, ma un voto di protesta contro produzioni ipertecnologiche che fanno il vuoto di mano d’opera nelle troupe e suggerimento a futura memoria per film che tornino a valorizzare le risorse umane basate sul vecchio sistema della forza-lavoro e di tradizionali specializzazioni. Che se poi possono contare su qualche “trasferta all’estero” tanto di guadagnato, trattandosi di una voce che impingua notevolmente la busta-paga. The Millionaire diventa così un modello che i nuovi tycoon di Hollywood non dovrebbero trascurare ma prendere seriamente in considerazione. Soprattutto in tempi duri, dove lo sciopero è facile e dove, dopo la lunga astensione dal lavoro degli sceneggiatori, si sta ora profilando quella degli attori.

 

E visto che siamo in tema di messaggi, come interpretare i premi ai migliori attori, come accostare l’Oscar di Sean Penn in Milk a quello di Kate Winslet per The Reader? Checché se ne dica, l’Oscar è un voto di scambio, ma ciò non toglie che, al di là di spiccioli interessi personali, il responso delle urne tradisca anche un risvolto psicoanalitico che rivela il nervo scoperto dell’America, speranze che si riversano in storie emblematiche di attese comuni e generalizzate. Ecco allora che se Milk suona come conferma di una politica di apertura conseguente all’elezione di Barak Obama, The Reader è la risposta umanitaria al vuoto della memoria dimenticata e alla pietas invocata quale rimedio alla banalità del male.

Dietro ogni Oscar si nasconde sempre una spiegazione. Basta cercarla… e accettarne il responso.                    

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