I meno e i più di Ignazio Marino

A margine e a commento delle giunte dimissioni del sindaco di Roma Capitale, esaminiamo alcuni tratti dell'operato del primo cittadino, che oltre gli errori, ha compiuto scelte impopolari ma di rilievo per il futuro della città
Ignazio Marino

Non sapremo mai quante bottiglie di spumante, visto che lo champagne è molto caro, hanno stappato i tanti detrattori del cosiddetto “Allegro Chirurgo” nonchè Ignazio Roberto Maria Marino, il sindaco genovese di Roma.

Certamente suo malgrado è diventato un pungiball della satira e delle battute da Facebook (il novello bar allargato), specie per quella storia, ancora magmatica, sulle spese “ristoratrici” con la carta di credito comunale.

Ebbene occorre dire subito che Marino non è un politico navigato o di razza e lo si è visto in tante scelte e in tante azioni amministrative. Questo in tempi in cui il rimprovero più additato alla classe politica è quello di essere troppo mestieranti, non sarebbe stato un problema, anzi.

Un problema in cui ha sicuramente difettato Marino è la scarsa comunicazione delle sue azioni e provvedimenti tanto che pochi sanno veramente quello che ha fatto. Proviamo a enucleare qualche cosa.

Ha chiuso la famosa discarica di Malagrotta che è risultata, anche con l’arresto di uno dei manager del gruppo che da oltre vent’anni la gestiva, un luogo di affari non sempre leciti.

Ha cambiato i vertici dell’Atac in cui vigeva un assenteismo del 19 per cento.

Ha denunciato la lievitazione dei costi per la costruzione della metro C da parte di alcuni potentati delle Costruzioni.

Ha reciso i vertici di Roma Metropolitana e Atac (noti per la cosiddetta “parentopoli”).

Ha abolito 25 Società partecipate a volte inutili e dispendiose (Aeroporti di Roma, Centrale del latte, ecc.).

Ha tolto i camioncini ambulanti dal centro storico (che pagavano tre euro al giorno di tassa), scontentando la lobby che le deteneva da tempo.

Ha liberato varie piazze invase dai tavolini selvaggi degli esercenti e dagli abusivi.

Ha bloccato indennità ai dipendenti comunali e un sistema automatico di premialità, che ha scatenato tante “guerre interne” – chi non ricorda l’assenteismo dei vigili la notte di Capodanno…?

Lui e la sua Giunta, pur lambita da qualche scheggia, peraltro risalente a precedenti Amministrazioni, sono rimasti indenni dal tornado di Mafia Capitale che in qualche modo ha allentato, se non reciso, i suoi tentacoli dal Comune.

Tra i meno c’è l’ingovernabilità di una squadra che in corso d’opera ho visto vari dei suoi giocatori tornare in panchina o coinvolti in indagini giudiziarie o in polemiche di dubbio gusto a pochi giorni dall’insediamento.

Anche il carattere irruente e poco incline alle conciliazioni del primo cittadino non ha favorito la serenità del lavoro.

Sulla gestione economica quanto avrà inciso la sua natura genovese? Certo che ricostruire l’immagine di un governo cittadino impegnato a dissipare era arduo, ma ancor di più sarà risultato applicare a sé quegli stessi criteri usati per altri. Resta l’eterna domanda di quanto l’istituzione cambi l’uomo e a lungo andare lo corrompa.  

 

I viaggi inopportuni nei tempi, giustificati come occasioni di partnership per progetti che in realtà erano vincolati dalle istituzioni italiane, a partire dalla questione restauri che prima di avere l’ok di un partner finanziario avrebbe dovuto avere quello della sovrintendenza resta anche questo un punto di domanda.

 

Siamo partiti dalla comunicazione e concludiamo con la comunicazione poiché gli attacchi verbali di Marino sono state stilettate violente per avversari, presunti nemici o compagni di partito.

 

La triste querelle scatenata da un quotidiano e dal fuoco incrociato di scontrini e smentite è stata la classica buccia di banana su cui è scivolato il sindaco che aveva da tempo già le scarpe sdrucciolevoli.

A ripensare a tutto ciò forse gli spumanti non li hanno bevuti solo i naturali avversari politici, ma anche qualche tentacolo che non disdegnerebbe di tornare in mare aperto per una nuova grande abbuffata. Fu vera ingloria? Ai posteri e agli elettori l’ardua sentenza.

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