I giovani e la politica

Marco Fatuzzo

Parlare del rapporto fra i giovani e la politica non ha niente a che vedere con il futuro (del quale, peraltro, si sentono deprivati, per mancanza di lavoro e di prospettive). Ha a che vedere con il presente, con il qui e l’ora.

M’è capitata recentemente una fortuna: partecipare ad un convegno ai Castelli romani con una platea di circa un migliaio di giovani, in grande prevalenza italiani, del Movimento Gen. Ho ascoltato per due giorni i loro interventi. Ho anche avuto l’opportunità di interloquire – in alcuni momenti – con loro su temi legati all’attualità politica. Ho avvertito il loro rifiuto del conservatorismo, la loro esigenza di superare categorie obsolete, di opporsi a visioni politiche volte a disgregare l’unità fondamentale che li lega. E una grande voglia di recupero dell’impegno civile – direttamente, senza intermediari – anche attraverso le moderne forme di partecipazione sui social media.

Alla conclusione del convegno quei giovani hanno aperto una pagina su facebook: 1.200 adesioni in un sol giorno. L’intento: riscoprirsi “corpo sociale”, una sola “mente civile” che condivide ideali e progetti.

Mi si è rafforzata una convinzione: i giovani costituiscono un autentico capitale sociale per il rinnovamento della politica. E mi sono nati dentro alcuni pensieri, tipo: i giovani hanno bisogno della politica, ma anche la politica ha bisogno dei giovani; devono essere i giovani a cambiare la politica, prima che sia la politica a cambiare i giovani.

In Italia sono sette milioni quelli fra i 21 e i 30 anni. Tanti. Purtroppo il nostro Paese sconta un macroscopico ritardo nel ricambio generazionale del ceto politico rispetto agli altri Paesi, una sorta di ingessatura nella mobilità sociale ascendente: gli “under 35” che occupano ruoli dirigenziali sono da noi lo 0,1% a fronte del 14% della Germania e al 30% della Cina. Un capitale sociale sprecato.

Questi figli del nostro tempo non rifiutano la politica tout court; sono semplicemente nauseati da una certa immagine della politica, quella, per intenderci, che disgusta – per fortuna – anche una buona fetta di generazione adulta: la politica della rissa, della contrapposizione pregiudiziale fra le diverse parti in campo, incapace di vero dialogo costruttivo per il bene del Paese.

La politica-immagine, quella dei talk show, quella che bada solo allo share, all’indice di ascolto che, più “si vede scorrere il sangue”, più sale, e più fa incassare i media dagli sponsor pubblicitari.

Né più né meno di quanto accadeva nei ludi circensi o nei munera gladiatoria in epoca romana: i combattimenti con i gladiatori nell’Anfiteatro Flavio, che ospitava sui suoi spalti una folla smisurata, che assisteva con eccitazione alla violenza dei combattimenti e allo scorrere del sangue.

Il parallelo con i nostri attuali talk show di natura politica, trova altre corrispondenze. I combattimenti opponevano sempre tra loro coppie di gladiatori differenti:Reziari, Secutores, Mirmilloni, Traci, che avevano proprie peculiarità, in materia di equipaggiamento e di colpi permessi. Vigeva anche allora una sorta di par condicio fra i combattenti, dosandone partecipazioni, vantaggi e svantaggi (ad esempio, Traci contro Mirmilloni, Reziari contro Secutores). Oggi diremmo: PD contro PDL, IDV contro LEGA… con i “migliori gladiatori” in campo.

Spingendo agli estremi questo confronto tra l’attuale lotta politica, mostrata con grande risalto sui mass media, e il sanguinario fanatismo del popolo romano, ci sovviene che allora si aveva persino il coraggio di offrire dei particolari munera gladiatoria – duelli all’ultimo sangue fra gladiatori – anche in occasione di funerali di qualche congiunto di personaggi facoltosi. E questo ci fa riflettere sul fatto che anche nelle situazioni più drammatiche, da orlo sul baratro, quali quelle che si trova a vivere oggi il nostro Paese, la irrazionale contrapposizione politica non sembra voler sotterrare l’ascia di guerra, incurante dell’interesse generale.

Quando Benedetto XVI a Cagliari, nel settembre 2008, per la prima volta lanciò l’appello perché nascesse una nuova generazione di politici cattolici, non aveva certo in cuore una sorta di “giovanilismo” – perché è difficile far reggere l’equazione che giovane equivale a migliore –: il Papa auspicava politici “nuovi” dentro, meno subalterni ai partiti e più collegati alla società civile. Cioè “vino nuovo in otri nuove”.

 

Marco Fatuzzo

Presidente Centro internazionale Movimento politico per l’unità

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons